Dietro la guerra dei dazi USA-Cina si cela una guerra tecnologica, ne parliamo con Gavin Parry di Parry Global Group e Alberto Forchielli del Fondo Mandarin
A ormai quasi due settimane dall’ultima proposta del Presidente Donald Trump di imporre dazi del 25% sulle importazioni di merci cinesi per un valore di 50 miliardi di dollari, le acque non sembrano calmarsi e la guerra commerciale in corso tra USA e Cina continua con nuovi risvolti.
Dopo l’accusa mossa dagli Stati Uniti alle aziende cinesi di furto e violazione della ‘proprietà intellettuale’, l’Ufficio per il commercio americano ha pubblicato un elenco di 1.300 prodotti cinesi, tra cui attrezzature per le telecomunicazioni e robot industriali, sui quali saranno applicati i dazi dell’Amministrazione Trump. La risposta cinese non è tardata ad arrivare e il Paese ha reagito annunciando che avrebbe posto dei dazi su 106 prodotti americani tra cui agenti chimici, semi di soia e automobili. Alcuni analisti sostengono che dietro questa guerra commerciale, si nasconda una guerra tecnologica che trova la sua ratio in una ‘paura’ di fondo che gli USA nutrirebbero nei confronti di Pechino, da sempre colosso tecnologico indiscusso. Gli Stati Uniti sembrano intenzionati a strangolare lo sviluppo high-tech cinese, e contenere l’ascesa della Cina attraverso la guerra commerciale. Secondo un editoriale del ‘Global Times’, quotidiano cinese in lingua inglese ‘voce’ del Governo, Washington avrebbe paura della crescente competitività della Cina nel campo delle alte tecnologie e per questo adotta misure di isolazionismo, invece di motivare le aziende americane a competere.
Secondo Alberto Forchielli, fondatore e managing director del fondo Mandarin, la guerra commerciale ha come unico scopo colpire la Cina, che, paradossalmente, ne esce come Paese meno danneggiato dalla decisione di imporre dazi del 10% sull’import di alluminio e del 25% su quello dell’acciaio, annunciata da Trump il mese scorso. Secondo Forchielli si tratterebbe di una ‘minaccia’ utile all’Amministrazione americana per mettere alle strette i Paesi che hanno un gran numero di rapporti commerciali con la Cina e ad allinearli sul fronte occidentale della ‘guerra’.
Gavin Parry, amministratore delegato della società di servizi di investimento Parry Global Group, in un’intervista al ‘CNBC’, ha dichiarato: «La Cina ha molto da perdere dal punto di vista economico, mentre per la gran parte degli osservatori sarebbero gli Stati Uniti ad uscire perdenti dalla guerra commerciale».
Parry porta l’esempio di Apple, il gigante tecnologico produttore di iPhone che in realtà sono assemblati da aziende come la Foxconn di Taiwan.
Gran parte degli assemblaggi e delle costruzioni di iPhone avviene in Cina. Secondo un rapporto del quotidiano ‘China Daily’, lo scorso anno quasi la metà degli iPhone sono stati fabbricati nello stabilimento Foxconn di Zhengzhou, nella Cina centrale. Il rapporto indica 94 linee di produzione di iPhone gestite da 350.000 lavoratori nello stabilimento. Pertanto, se Apple e Foxconn dovessero spostare potenzialmente alcune di queste linee di produzione negli Stati Uniti, potrebbero verificarsi perdite di posti di lavoro a Zhengzhou. A gennaio, Apple ha annunciato investimenti per sostenere l’economia americana, l’azienda avrebbe contribuito con circa 350 miliardi di dollari all’economia nazionale e creato circa 20.000 posti di lavoro nei prossimi cinque anni, oltre a sostenere l’innovazione tra i produttori nazionali.
Parry ha affermato che l’Amministrazione Trump potrebbe offrire agevolazioni fiscali e altri incentivi per spingere più aziende tecnologiche statunitensi a ritornare effettuare le proprie operazioni economiche negli Stati Uniti. Ciò, in teoria, secondo Parry stimolerebbe l’economia interna, mentre i dazi potrebbero continuare ad essere un elemento di pressione per la Cina. Parry ha aggiunto che Pechino ha ancora bisogno che aziende statunitensi continuino ad offrire posti di lavoro al Paese, per aumentare il potere d’acquisto e far crescere la classe media cinese.
Dean Garfield, Presidente e amministratore delegato del gruppo di esperti Information Technology Industry Council, ha dichiarato al ‘Squawk Box’ della ‘CNBC’ che quando si parla di tecnologia, sia il mercato statunitense che quello cinese sono incredibilmente intrecciati e ciò significa che i Paesi non potrebbero allontanarsi l’uno dall’altro. Parry, nel corso di una nostra intervista, afferma: “Secondo me, prima delle recenti tensioni commerciali USA / Cina che oggi catturano la nostra attenzione su tutti i media, era già stato avviato un enorme cambiamento di potere a livello globale sullo spazio tecnologico”, “Si tratta non tanto di una guerra tecnologica, quanto di una guerra di logoramento nello spazio tecnologico per la leadership dell’innovazione”, afferma Parry. Anche Forchielli è della stessa idea e afferma: “In realtà la vera battaglia non è quella di fermare le importazioni cinesi con dei dazi, che è una cosa impossibile, ma è quella di rallentare la grandezza tecnologica cinese. I dazi, in questo contesto, non sono altro che uno strumento tattico”.
Forchielli afferma che la Cina ha annunciato nel suo piano decennale che nel 2025 raggiungerà la leadership in una serie di settori avanzati, tra cui l’intelligenza artificiale. “Un piano di sviluppo molto ambizioso”, ammette Forchielli, e aggiunge che alla luce di questi obiettivi la paura americana è quella di non riuscire più esportare nel caso in cui i prodotti americani vengano definitivamente superati da quelli cinesi.
Secondo Parry non siamo di fronte ad una guerra tecnologica, ma semplicemente la Cina si è resa conto che questo era il suo momento di ‘brillare’ e ha sfruttato questa opportunità, proprio come avrebbero fatto gli Stati Uniti dopo la seconda Guerra Mondiale. Infatti, secondo Parry, in quel periodo l’americano si trovò in una situazione davvero unica. La maggior parte della capacità industriale e manifatturiera globale era stata distrutta e con l’allentarsi degli sforzi bellici l’America decise di sfruttare questa opportunità e di far brillare la sua economia esportando in tutto il mondo, cercando di sanare il suo PIL del dopoguerra.
“Questa situazione è alla base della nostra tesi sull’opportunità che ha avuto la Cina”, afferma Parry.
Gli Stati Uniti erano una rete esportatrice di dollari (USD), avevano un tasso di risparmio interno molto elevato, cioè la maggior parte dei titoli di guerra statunitensi erano venduti agli americani, dati i livelli di risparmio interni. Gli Stati Uniti hanno fatto il giro del mondo mettendo l’USD nelle mani dei potenziali consumatori. L’esempio classico è quello della Banca Mondiale -originariamente chiamata Banca internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (IBRD) e fondata nel 1944- questa aveva il compito di distribuire l’USD per la ricostruzione dell’Europa post-bellica. Gli Stati Uniti avevano un grosso capitale e lo fecero vedere negli anni ’50 e ’60 raggiungendo traguardi storici come far arrivare un uomo sulla luna. Quella americana era una società ricca che ci ha condotto all’innovazione, portandoci alla tecnologia moderna con Apple, IBM, Microsoft ecc.
“Vorrei fare un paragone con la Cina moderna”, commenta Parry. “La Cina si sta rapidamente urbanizzando e sta trasformando la sua economia guidando gli investimenti e la domanda interna, proprio come fecero gli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale”.
La Cina mira ad essere la ‘prima fabbrica’ del mondo, secondo Parry: “E’un esportatore di valuta netta, ha persino creato una propria ‘Banca mondiale’, l’AIIB che distribuisce prestiti denominati in renminbi per progetti. Il Renminbi è già una valuta commerciale transfrontaliera e si sta espandendo all’uso come valuta finanziaria. Tuttavia, mentre il FMI ha riconosciuto l’RMB come una valuta mondiale principale, aggiungendola al suo paniere, non può fisicamente raggiungere la fase di valuta finale dello stato di riserva finché non vi è abbastanza liquidità globale, da qui l’AIIB”. La ‘CCN’ ha affermato che la Cina arriverà su Marte entro il 2020. Tuttavia, secondo Parry, cosa ancora più importante è che la crescita della Cina è stata rapida e ha permesso a Pechino di apprendere efficaci lezioni di microgestione e pianificazione. “Lezioni apprese e ancora in una fase di sviluppo economico, ma Pechino ha già compiuto grandi mosse per distribuire il suo capitale in modo tale da raggiungere la prossima fase di crescita economica pianificata, fase che include l’innovazione scientifica e tecnologica”, aggiunge Parry.
Il Consiglio di Stato ha emanato un piano nazionale di innovazione scientifica e tecnologica nel 2016, che si concentra sullo sviluppo dell’innovazione tecnologica durante il periodo del 13 ° piano quinquennale (2016-2020). Il piano mira a migliorare in modo sostanziale le capacità tecnologiche e di innovazione della Cina e ad elevare le capacità di innovazione globale del Paese ai 15 migliori Paesi del mondo.
Parry afferma che guardando i dati del 2015, la spesa nazionale lorda per la ricerca e lo sviluppo (GERD) ha visto la Cina aumentare di una media del 22,8% all’anno, che ha portato la quota di GERD al PIL dallo 0,9% all’1,54%. “La Cina punta ad aumentare questa percentuale al 2,5% entro il 2020 e nel 2016 ha raggiunto poco più del 2%. Gli Stati Uniti guidano ancora il mondo in GERD. Tuttavia, la quota globale degli Stati Uniti è scesa da circa il 37% nel 2000 al 26% nel 2015, mentre la quota della Cina è aumentata al 21% (US National Science Board (NSB) Indicatori di scienza e ingegneria 2018, un’analisi congressuale emessa il 18 gennaio)”, spiega Parry.
Nel 2015 il Consiglio di Stato ha lanciato l’iniziativa ‘Made in China 2025’, volta a migliorare l’industria cinese, che è strettamente connessa con la sua strategia nazionale di crescita scientifica e tecnologica, con l’obiettivo di passare alla produzione intelligente, vale a dire applicare gli strumenti di tecnologia dell’informazione alla produzione. “Per me è importante analizzare la storia economica, perché la storia si ripete, ma i mercati hanno ‘ricordi brevi’”, commenta Parry
La Cina è stata un leader mondiale nel campo della scienza e della tecnologia fino ai primi anni della dinastia Qing. Le scoperte cinesi e le innovazioni cinesi come la fabbricazione della carta, la stampa, la bussola e la polvere da sparo hanno catapultato la società a livello globale e tutto questo oggi potrebbe costituire una minaccia per gli americani.
Secondo Forchielli, Trump avrebbe imposto dazi su più di 1300 articoli, molti dei quali l’America neanche importa. “Quando dice di aver importo dazi per un valore di 50 miliardi di dollari, non è vero. Hanno messo barriere sull’importazione di tutti i prodotti tecnologici cinesi”, afferma.
I cinesi hanno compreso bene che dietro agli attacchi sul fronte commerciale si cela altro, ovvero un attacco allo sviluppo tecnologico della Cina. Basti vedere l’editoriale di ‘Global Times‘ del 4 aprile. Forchielli afferma che non sono i cinesi ad averlo capito, ma gli americani stessi avrebbero chiesto ai cinesi di interrompere i finanziamenti statali in settori altamente tecnologici.
Ma, la loro risposta ai dazi di Trump quanto colpisce davvero il sistema delle imprese americane e quanto risponde all’attacco sul fronte tecnologico tentato da Trump?
“La risposta cinese alle richieste di Trump ancora non può colpire le aziende americane, ma andando avanti probabilmente si”, afferma Forchielli. Secondo Forchielli sarebbero due le minacce principali che si celano dietro questa guerra tecnologica: “In primo luogo quella che sia la Cina che l’America mettano dei dazi che vadano a toccare il supply chain delle multinazionali americane, questo sarebbe un problema, perché le decisioni di investimento fatte in passato diventerebbero inutili, le aziende sarebbero costrette a resettarsi”.
“In secondo luogo, la minaccia è quella che le aziende cinesi possano farla sporca andando a ricattare le aziende americane. La Cina lo ha già fatto, ma minacciare sistematicamente in questo momento porterebbe a zero gli investimenti stranieri”, afferma Forchielli.
Il discorso di Xi Jinping al Baoao Forum for Asia secondo i commentatori cinesi sarebbe una sorta di tabella di marcia della Cina verso il futuro, almeno per quanto attiene le riforme e l’apertura del mercato cinese. Secondo Forchielli nessun tipo di futuro è tracciato in questo intervento per quanto attiene allo sviluppo tecnologico in quanto: “I cinesi fanno le aperture solo dopo che controllano ampiamente il mercato, sono delle aperture fasulle. E’ il solito inganno, la gente ci ride sopra alle promesse dei cinesi”, afferma.
Per l’economia cinese, come per ogni altro Paese, lo sviluppo tecnologico in atto è vitale.
“Per superare la famosa trappola del reddito medio un Paese per svilupparsi ad un certo punto ha bisogno di passare da produzioni low capital–intensive a produzioni più technology–intensive. Se un Paese vuole trasformarsi in una realtà avanzata deve fare questo passaggio obbligato. Non è una vanità, è una necessità”, conclude Forchielli.
Intervista di Helodie Fazzalari pubblicata su L’Indro, 20/04/2018
PRESS
USA-Cina: guerra nello spazio tecnologico per la leadership dell’innovazione
Alberto Forchielli21 Aprile 20180
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