Sin dall’infanzia la nostra visione viene instradata su un sistema binario che ci induce a vedere ogni cosa in bianco e nero : il Bene ed il Male , Dio ed il Diavolo , l’Occidente e l’Urss , la Nato ed il Patto di Varsavia , il Buono ed il Cattivo ….senza tenere in alcun conto le infinite sfumature di colore che il nostro mondo invece ci offrirebbe , se solo sapessimo guardare.
Una abitudine acquisita che ha pesato anche , sin dall’inizio , sulla nostra valutazione della crisi siriana. Avevamo bisogno di un Cattivo e lo abbiamo rapidamente identificato nel Presidente del paese , Assad , aiutati in questo da tutte le forze politiche ed i mass media nostrani che concordavano nell’indicarlo come l’origine ed il fulcro di ogni male . Cercavamo dei Buoni ed abbiamo scelto come tali i ribelli sunniti , dimenticando o cercando di dimenticare i loro legami di ogni tipo con l’estremismo islamico più spinto .
Per far quadrare i conti siamo arrivati anche a falsare la verità dei fatti , indicando gli alawiti – la setta sciita cui appartiene la famiglia degli Assad – come l’unica minoranza che sostenesse il dittatore e dimenticando come al suo fianco si fossero schierate tutte le altre minoranze religiose od etniche del paese , curdi , Yazidi , cattolici, caldei , ismailiti , drusi , maroniti e chi più ne ha più ne metta . Tra l’altro in un rifiuto corale di aderire al campo sunnita che avrebbe dovuto farci chiaramente comprendere di che pasta fossero fatti coloro che noi indicavamo come l’epitome del Bene !
Almeno inizialmente , non abbiamo neanche approfondito a chi risalisse la reale responsabilità di quanto stava accadendo , per cui gli USA e il Regno Unito , onorati membri dell’Occidente e della NATO , sono rimasti per lungo periodo fra i Buoni nonostante il fatto che proprio a loro ed alla destabilizzazione della intera area indotta dal rosario afgano/ iraqeno/ libico di guerre risalisse la responsabilità prima di quanto stava accadendo.
Con processo analogo non ci siamo neanche curati di valutare il grado e la natura del coinvolgimento di potenze regionali come la Turchia , l’Arabia Saudita , il Qatar , l’Egitto , e nel campo opposto l’Iran , nonostante esse avessero dimostrato sin dall’inizio di nutrire ben pochi scrupoli e di essere disposte a qualsiasi compromesso pur di conseguire quei risultati che consideravano fondamentali per la crescita della loro statura internazionale.
Soltanto in seguito , nella escalation di una lotta che si faceva di giorno in giorno più dura e ci metteva costantemente a confronto da un lato con nuovi morti , dall’altro con atrocità reciproche sempre più efferate , la nostra ragione ha iniziato a risvegliarsi , rivolgendosi quella serie di semplici quesiti che avrebbe dovuto porsi sin dall’inizio.
Decisivi a riguardo sono stati soprattutto quattro episodi .
In primo luogo la vicenda dell’uso di armi chimiche , attribuito sin dall’inizio senza esitazioni ad Assad nonostante da anni fosse ben chiaro come colpire con fuoco amico in condizioni particolari la popolazione della propria parte risultasse uno stratagemma di guerra da cui l’estremismo islamico sunnita certo non rifuggiva , come dimostrato da episodi avvenuti in Bosnia , in Kosovo ed in altre aree di combattimento. E come viene confermato oggidì’ dal fatto che le nuove accuse di uso di gas nervino risultano rivolte , più o meno in pari misura , al campo governativo ed ai ribelli delle fazioni più estreme.
La soluzione di compromesso della specifica crisi , propiziata dall’intervento delle Nazioni Unite e della Russia , permise in quella occasione all’America di uscire da un degradante impasse in cui azzardate affermazioni del Presidente Obama , il suo “Commander in Chief” , la avevano messa . Sottolineo’ pero’ , nel contempo , come gli USA risultassero pronti ad arruolare ed armare in funzione anti Assad chiunque fosse disposto , almeno momentaneamente , a dichiararsi un “islamico moderato ” – nonostante magari la fedeltà giurata sino a ieri ad Al Qaida ! – ma non volessero rischiare per la stabilizzazione del Medio Oriente le ossa di uno solo dei loro Marines. Una decisione di “Realpolitik” che ci riporta per miopia , cinismo ed assonanza molto indietro nel tempo , al ricordo di un Imperatore tedesco di fine ottocento e della sua affermazione su come “i Balcani non valessero un unico Granatiere di Pomerania”.
Il secondo elemento di meditazione e’ stata la travolgente irruzione sulla scena Medio Orientale del Califfato , che ha avuto come prima conseguenza quella di integrare la crisi iraqena e quella siriana in un tutto unico , centrato sulla impossibilità per maggioranze sunnite di accettare ulteriormente dominazioni sciite protrattesi forse troppo a lungo , e di sicuro gestite con assoluta , suicida ottusità.
L’abitudine degli estremisti di Al Bagdadi a considerare Medio Oriente ed Europa come due teatri distinti ma fungibili della medesima Guerra Santa , ci ha inoltre dolorosamente costretti a confrontarci con una realtà che continuavamo a rifiutare , nonché ad ammettere che qualsiasi cosa facessimo o dicessimo per negare un simile stato di fatto si trattava comunque di un conflitto in cui eravamo coinvolti in prima persona.
In altre parole – ed e’ questo il punto fondamentale che soprattutto le frange ireniche della nostra opinione pubblica faticano a recepire – la lunga pace di cui l’Europa Occidentale aveva goduto dopo il Secondo Conflitto Mondiale era terminata , ed eravamo di nuovo in guerra. E per di più con armi spuntate , vale a dire con forze di sicurezza inadeguate alla bisogna poiché largamente sottofinanziate.
Il terzo episodio che contribuì a mutare situazione e percezione del problema fu la firma dell’accordo nucleare con cui l’Iran , cessando di essere un “rogue state” , dovette essere a tutti gli effetti riaccettato come un onorabile membro del cosiddetto consorzio delle potenze civili.
Un cambiamento che produsse indubbiamente i suoi effetti maggiori sul fronte iracheno e non su quello siriano , ma che aprì tuttavia la strada a notevoli ammorbidimenti di posizioni anche su quest’ultimo .
Si iniziò tra l’altro a parlare per la prima volta di un possibile periodo di transizione , con Assad ancora al potere a Damasco , rinunciando a quella richiesta di allontanamento del dittatore prima dell’apertura di qualsiasi colloquio di pace che era stata sino a quel momento un mantra immancabile in ogni presa di posizione sulla crisi da parte delle Nazioni Unite e dell’Occidente.
Più o meno in pari tempo ebbe luogo l’intervento in teatro a favore di Assad da parte delle forze russe , che fu il quarto degli episodi destinati a mutare radicalmente la situazione locale .
Con la sua decisione il Presidente Putin aggiungeva un nuovo tassello alla sua politica mirante a riportare la Russia a giocare un ruolo fondamentale nelle stesse aree in cui a suo tempo quel medesimo ruolo era stato interpretato dall’URSS.
Si riproponeva così di nuovo, e in forma inedita , in tutta l’area del Medio Oriente una potenziale dialettica/collaborazione russo americana , con Mosca in posizione decisamente pro sciita e Washington in atteggiamento pro sunnita in Siria , mentre in Iraq le cose rimanevano più equivocamente confuse.
Nell’immediato , la decisione russa consentiva a Putin non soltanto di salvare ma altresì di consolidare con l’acquisizione – che probabilmente non sarà a titolo temporaneo – della base aerea di Latakia una presenza mediterranea che l’adesione del Montenegro alla NATO aveva resa molto più precaria che in passato.
Inoltre essa evidenziava come l’Occidente avesse tutto l’interesse a trovare un accordo con Mosca mettendo da parte il contenzioso ucraino , se voleva realmente ricercare una definitiva soluzione dell’incubo siro/iraqeno.
Contribuiva a rendere particolarmente forte la posizione russa anche il fatto che sin dall’inizio l’intervento si evidenzio’ come programmato su basi estremamente realistiche , che prevedevano un ripristino totale della sovranità alawita soltanto in quella fascia del paese più prossima al Libano in cui gli sciiti e le altre minoranze siriane erano sempre state tradizionalmente dominanti.
Nel loro complessivo insieme questi fatti sono riusciti a ridefinire la posizione , le aspirazioni e indubbiamente anche i timori di quelle potenze regionali cui avevamo in precedenza fatto cenno . Dell’Iran , unica potenza regionale sciita , si è già parlato in precedenza e qui basterà ricordare come sia stata la presenza dei Pasdaran iraniani in Iraq a conferire quel minimo di indispensabile solidità alle milizie più o meno regolari e più o meno confessionali del Governo in carica , in questo periodo vittoriosamente all’offensiva.
In parallelo le truppe di Assad , che ora puntano a quella riconquista di Aleppo che renderebbe possibile la realizzazione del piano Putin relativo alla edificazione di una Siria di dimensioni ridotte rispetto alla precedente ma in compenso molto più omogenea , godono di un appoggio di Hezbollah libanesi , sempre pilotati da Teheran , che si sta rivelando per molti aspetti decisivo .
In campo sunnita , l’Egitto sembra avere definitivamente rinunciato ad ogni aspirazione di presenza medio orientale per concentrarsi invece su uno scenario libico in cui il Generale Haftar si sta impegnando a fondo per arrivare ad una Cirenaica indipendente e satellite de Il Cairo.
Dal canto loro l’Arabia Saudita e gli Emirati del Golfo continuano invece in una politica estremamente ambigua , che da un lato appoggia formazioni di vario tipo che si oppongono alle forze di Assad , mentre dall’altro nulla di efficace fa per arrestare il flusso di finanziamenti che da tutta la Penisola Arabica si indirizza verso il Califfato.
In un certo senso , ed in queste condizioni , è una fortuna che per tutti i beduini sunniti dell’area medio orientale la famiglia di riferimento rimanga quella degli Hascemiti , i sovrani di Giordania ed un tempo anche della Penisola Arabica e dell’Iraq e discendenti diretti del Profeta , nonostante tutti i tentativi degli Al Saud che li cacciarono dalle Città Sante nel 1926 ma che non possiedono gli stessi quarti di nobiltà e sono quindi spesso visti come dei parvenus usurpatori. Una condizione oltretutto aggravata dal legame bilaterale che unisce indissolubilmente le fortune della famiglia reale saudita a quelle del Wahabismo , vae a dire di un Credo che nell’anno 2000 pretenderebbe di riportare l’Islam agli usi degli anni della Egira.
Fra tutte la situazione più complessa rimane , almeno in questo momento , quella della Turchia. Da anni Il Presidente Erdogan sta infatti giocando nell’area un ruolo tanto articolato e complesso che definirlo machiavellico risulterebbe forse riduttivo.
All’inizio egli ha indubbiamente sostenuto in varie forme il Califfato nell’idea , probabilmente , che esso potesse risultare utile nell’affermare l’idea di una impossibilità di convivenza fra sciiti e sunniti in Siria ed in Iraq .
Nel momento in cui tale dato di fatto si fosse universalmente imposto non sarebbe poi risultato difficile ad Ankara ed alle sue truppe eliminare i tagliagole del Califfo con un rapido blitz che avrebbe raccolto ammirazione ed appoggio di tutto l’Occidente e consentito ai turchi di installare ai loro confini uno stato satellite sunnita cui sarebbero andate vaste aree un tempo siriane ed irachene.
Tutto bene , ma…. In primo luogo ogni tentativo di Erdogan di coinvolgere più a fondo l’Occidente cercando di far apparire la Turchia in sede NATO come un paese a rischio di imminente aggressione si è scontrato con il fondato scetticismo degli altri paesi membri . Poi le denuncia russe hanno evidenziato i vari e differenti livelli di collusione turca con l’ISIS , ivi compresi quelli riguardanti la famiglia stessa del Presidente. Infine il tentativo di colpo di stato militare turco e la conseguente repressione di Erdogan hanno aumentato a dismisura le diffidenze occidentali nel confronto di Ankara.
Su tutto questo si è inoltre innestato il fatto – probabilmente decisivo – che i curdi si siano progressivamente evidenziati , tanto in Iraq quanto in Siria , come quegli indispensabili “boots on the ground ” che l’America ed il resto dell’Occidente cercavano invano da tempo.
Situazione destinata ad impensierire particolarmente Ankara , che ben sa come la creazione di un eventuale stato curdo esteso lungo la linea di frontiera turco siriana e comprendente anche il Kurdistan iracheno eserciterebbe una forte attrazione fatale e difficilmente contenibile sulla minoranza curda del sud della Turchia.
Per evitare che ciò avvenisse Ankara è intervenuta direttamente in Siria , occupando all ‘ultimo momento possibile alcune città di confine onde evitare che le forze curde potessero unire le loro enclaves e dare soluzione di continuità ad una fascia di occupazione che domani potrebbe trasformarsi nell’embrione di uno stato .
Ovviamente la recente mossa turca , che gli USA hanno sostenuto ma palesemente molto a malincuore, potrebbe essere destinata ad aggravare ulteriormente una soluzione già di per se abbastanza complessa.
Ci sono però abbondanti segni di come molti dei principali protagonisti comincino a comprendere che in una eventuale continuazione delle ostilità ci sarebbe probabilmente più da perdere che da guadagnare.
Inoltre alcuni dei risultati principali che essi si proponevano di raggiungere appaiono ora quasi a portata di mano. Aleppo sta per cadere , e ciò porterebbe Assad e la Russia a disporre del territorio di cui avevano bisogno per costruire a nuova Siria. Sotto i colpi che gli vengono inferti da tutte le parti l’ISIS barcolla , ed è facile prevedere come la sua presenza in Siria ed Iraq dovrebbe essere eliminata nel giro di meno di un anno , un fatto che dovrebbe accontentare il nuovo Presidente degli USA , chiunque egli od ella sia. Parimenti anche l’Iran appare orientato a considerare come una decisiva vittoria la riconquista delle ultime città irachene in mano ai ribelli.
Questo significa che la pace potrà tornare a regnare nell’intera area? Ben difficilmente , considerato come ci siano tre problemi fondamentali che rimarranno comunque ancora aperti.
Il primo consisterà nella tentazione del Califfato di recuperare attraverso attentati in Europa la forza d’attrazione sulle masse islamiche che gli verrà sottratta dalla sconfitta medio orientale. Si tratta , purtroppo , di un vaso di Pandora che si è’ aperto e sarà certo ben difficile e penso riuscire a richiederlo.
Il secondo si concretizzerà nella ricerca di una soluzione equa che consenta alle aree sunnite della Siria e dell’Iraq di convivere in qualche modo , o all’interno di stati federali o in stati confinanti , con quelle sciite.
Infine ci sarà da far digerire in qualche modo ad una Turchia , che oltretutto in questi ultimi tempi si è’ gonfiata come la rana delle favole che voleva divenire un toro , l’idea che la nascita di un focolare nazionale curdo sia divenuta ormai inevitabile.
Ce ne è abbastanza da far tremare le vene ai polsi , nonché da far ripartire di piena lena il caos medio orientale , magari anche con intensità superiore alla precedente. E’ proprio per questo che noi dell’Occidente dovremmo mantenerci uniti e uniti procedere nel programmare nonché nell’agire .
E se necessario anche nell’imporre!
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