Al di là di quanto predica il Presidente americano Trump e di ciò che sostiene da tempo l’alta burocrazia civile e militare della NATO , ed in particolare quello Stato Maggiore Internazionale che costituisce nell’ambito della Alleanza Atlantica l’ equivalente del settore “comunitario” della Unione Europea , non è affatto vero che ciò che gli stati europei spendono in sicurezza e difesa sia insufficiente. Semmai , questo si ! , ciò che viene speso viene speso molto male.
Ma quanto viene speso ? Difficile saperlo con precisione , anche perché le statistiche presentate sono almeno parzialmente inaffidabili. Innanzitutto perché in questo settore ogni Governo nazionale deve far fronte contemporaneamente a due necessità contrastanti , cioè dimostrare ai propri cittadini , in tempi di irenismo diffuso e di marce di Assisi , che le spese per la difesa non sono una delle sue priorità e nello stesso tempo convincere gli altri membri della Alleanza che non sta cercando di scaricare su di loro la propria parte dell’onere comune.
In più la compilazione dei bilanci e’ arte complessa e quindi in pressoché tutti i paesi le spese di questo settore finiscono con l’essere spalmate su diversi dicasteri , una procedura che la progressiva crescita del concetto di dual use rende di giorno in giorno più facile. Contribuisce infine ad aumentare la confusione anche il modo in cui , in anni di terrorismo rampante , sicurezza interna e sicurezza esterna sono divenute due facce della medesima medaglia . Difficile quindi , in tali condizioni , distinguere nettamente tra spese di polizia e spese militari.
In ogni caso e comunque vadano le cose le spese militari dei membri della Unione Europea presi nel loro complesso costituiscono un ammontare ragguardevole e che permetterebbe , qualora fosse utilizzato razionalmente e ripartito sulla base di un piano strategico ben articolato ed a lunga scadenza , di conseguire risultati ben superiori di quelli che vengono raggiunti al giorno d’oggi.
Difficile però chiedere razionalità a paesi che nel prendere le loro decisioni in questo settore sono guidati da considerazioni prevalenti ben diverse . In primo luogo da un principio che i tempi moderni hanno reso definitivamente superato ma che si ostina tuttavia a sopravvivere risultando pressoché ovunque condizionante. Si tratta dell’idea che nell’ambito della difesa ciascuno debba essere autosufficiente , considerazione che porta ad adottare su scala nazionale modelli di difesa magari piccoli ma assolutamente completi . Il risultato finale è che il patrimonio collettivo di difesa europeo si rivela pieno di duplicazioni inutili e privo di tutte quelle economie di scala che sarebbe altrimenti possibile realizzare. Un esempio choccante è quello delle portaerei , che potrebbero certamente essere ridotte di numero se nel settore esistesse un minimo di coordinamento fra paesi contermini.
La seconda considerazione e’ di carattere industriale e deriva dal fatto che nel suo complesso l’industria europea della e per la difesa e’ fortemente sovradimensionata rispetto alle necessità. Nonostante il fatto che esista in ambito UE una comune Agenzia degli Armamenti , un vero coordinamento della produzione non è mai avvenuto e ciascuno stato continua a proteggere gelosamente i propri campioni nazionali considerati – non a torto sinché la situazione rimane quella che è – un vero e proprio assett strategico. Ne deriva un proliferare di modelli di armamenti diversi che il più delle volte sono poi destinati ad operare insieme . Si può facilmente immaginare l’incubo e la complicazione logistica che ciò comporta .
La terza è il costo eccessivo e sempre crescente che ha assunto il settore del personale dal momento in cui ,abbandonando la leva , gli strumenti militari europei sono passati al volontariato. Si è stravolta in tal modo la vecchia sana ripartizione dei bilanci militari che assegnava un terzo delle risorse al rinnovo dei materiali , un terzo all’esercizio ed un terzo infine al personale. Ora la bilancia pende a favore del personale e lo fa in maniera tale che per qualsiasi amministratore il settore del personale diventa il primo su cui tagliare se non si vuole diventare uno stipendificio.
Il risultato finale e’ che nel complesso delle Forze Armate europee noi troviamo navi ed aerei magari un po’ obsoleti ma di sicuro sempre in eccesso mentre siamo confrontati ad una cronica carenza di quei “boots on the ground” che sarebbero invece lo strumento più necessario considerato il tipo di emergenze da affrontare. Una tendenza che viene poi ulteriormente esasperata dal fatto che l’ impiego di soldati a terra contempla sempre elementi di rischio , mentre il rischio è molto più ridotto allorché si parla della utilizzazione di forze aeree o navali.
Quando si esamina il complesso delle forze disponibili in ambito europeo ci si trova quindi di fronte ad uno strumento assolutamente squilibrato nelle sue componenti , con un forte eccesso di mezzi navali ed aerei , una palese carenza di forze terrestri e , salvo che nel particolare caso dell’Italia e di pochissimi altri paesi , una carenza anche più forte di forze di polizia addestrate ad inserirsi armonicamente in un complesso militare. Adeguata , soprattutto dopo la decisione di costituire a Bruxelles quello che dovrebbe col tempo divenire l’equivalente europeo di ciò che è SHAPE per la NATO risulta invece la struttura di comando . Altrettanto adeguati l’addestramento e l’abitudine di contingenti provenienti di paesi diversi a lavorare insieme , un settore in cui l’Alleanza Atlantica ha lavorato tanto e molto bene mentre la pratica di decine di missioni di gestione delle crisi svolte insieme nel corso degli ultimi anni ha fatto il resto. Un vero incubo , come già accennato ed almeno sino a quando l’Agenzia degli Armamenti non riuscirà a razionalizzare e a coordinare meglio la produzione dei materiali , e’ destinata invece a rimanere la parte logistica .
Due parole infine su un altro settore , quello della potenzialità nucleare , in cui -in particolare dopo la Brexit – la Unione Europea rischierebbe di ritrovarsi particolarmente carente. La Francia sarebbe infatti l’unico membro UE a disporre di una “Force de frappe” , basata sulla tradizionale triade di mezzi ma di dimensioni talmente ridotte che la dottrina francese è impostata su una “dissuasion du faible au fort” , cioè una deterrenza esercita dal debole verso il forte. I francesi sostengono anche che “le nucleaire ne se partage pas ” vale a dire che il nucleare non si condivide. Una teoria che sta pian piano imponendosi precisa pero’ come , anche se il nucleare non si condivide , la deterrenza da esso indotta potrebbe invece essere condivisa . Si tratta di una precisazione che potrebbe aiutare a concordare una soluzione del problema qualora di decidesse di costituire una vera e propria difesa europea.
E qui si giunge alla domanda chiave , vale a dire se ci sia veramente necessità , o anche soltanto interesse , a dotare l’Unione di un simile strumento sottraendo , la gestione e l’impiego del “braccio militare ” agli stati membri di cui essa è stata da sempre gelosa prerogativa.
D’istinto si sarebbe portati a dire ” Ma perché spendere per duplicazioni inutili quando c’è già la NATO?” ed in effetti questo e’ l’interrogativo costantemente sollevato da tutti gli stati che sono membri dell’Alleanza e non dell’Unione. Una obiezione che vene avanzata con differente sincerità e vigore a seconda dei singoli casi , ma che è sottolineata con particolare forza dagli Stati Uniti e dalla Turchia e che diverrà probabilmente uno dei cavalli di battaglia della Gran Bretagna una volta avviata la Brexit.
E’ sulla base dunque di questo concetto , apparentemente di risparmio in realtà di subordinazione , che sono maturati gli accordi a riguardo tra la NATO e la UE , accordi secondo cui l’Europa potrà farsi carico unicamente delle azioni che l’Alleanza non reputa opportuno assumere in proprio , che essa dovrà limitarsi alle cosiddette “missioni tipo Petersberg” .cioè esclusivamente di pace e/o soccorso, e che comunque per gli interventi di maggiori dimensioni dovrà in ogni caso utilizzare come comando lo SHAPE , gestito per l’occasione dal Vice SACEUR , che e’ sempre un ufficiale europeo.
Un complesso di condizionamenti che in pratica sottrae alla UE qualsiasi autonomia nel settore , facendola dipendere in tutto e per tutto da un assenso NATO, il che significa vivere avendo sempre pendente sul capo la spada di Damocle di un veto americano.
La vera domanda diventa quindi : “desideriamo veramente divenire del tutto indipendenti dagli Stati Uniti in questo delicatissimo settore oppure preferiamo lasciare le cose come stanno?”. Si tratta di effettuare una scelta e le scelte , allorché sono veramente tali , finiscono col risultare difficili e dolorose , considerato come ciascuna delle ipotesi che vengono prospettate comporti in pari tempo vantaggi e svantaggi non indifferenti.
Col dar vita ad una difesa europea l’Unione acquisirebbe infatti una autonomia nel settore che prima non esisteva ma , soprattutto nella perdurante assenza di una politica estera comune , si troverebbe a navigare in acque non ancora mappate con precisione . Inoltre lo strumento collettivo potrebbe , al termine del processo di coordinamento ed integrazione degli strumenti nazionali , acquisire quella efficacia che sino ad oggi non ha avuto altro che in forma ridotta presentando per di più un costo complessivo nettamente inferiore. Per contro bisognerebbe tener conto di come ciò potrebbe essere recepito dagli Stati Uniti e dagli altri paesi NATO non UE col rischio che essi finiscano col considerare lo strumento della Unione non complementare ma bensì competitivo rispetto a quello della Alleanza. Inoltre non è affatto detto che non vi siano reazioni negative anche da quei paesi NATO ed UE al medesimo tempo che Rumsfeld aveva etichettato come “la nuova Europa” , una difficoltà cui però un particolare impegno da parte della Germania potrebbe forse porre rimedio .
Il punto di cui maggiormente preoccuparsi resta in ogni caso quello della reazione americana , particolarmente in questo momento di estrema volatilità politica di Stati Uniti condotti da un Presidente che , pur non avendo ancora acquisito la necessaria pratica nel delicatissimo settore della difesa , tuttavia non ha esitazioni ad assumere decisioni destinate a produrre effetti rilevanti. Fino ad adesso , bene o male , il “legame transatlantico “ha tenuto anche se la NATO, in cui esso si concretizza , non ha saputo restare bene al passo con i tempi e si ritrova così ad essere ancora inadatta a nuove forme di scontro come la “cyber war” e la “guerra ibrida ” e nel contempo troppo grande per le piccole operazioni in cui è impegnata e troppo piccola per un eventuale guerra con potenze emergenti.
Almeno ufficialmente Washington non ha mai ostacolato la crescita della UE. E ‘ chiaro però come negli USA non si ami affatto l’idea che essa si rafforzi fino a poter divenire in un non precisato futuro un potenziale sfidante del primato statunitense nel mondo. Il passo verso la difesa comune aggiungerebbe chiaramente alla Unione una dimensione in più. La reazione USA all’idea rimane a questo punto un grosso interrogativo.
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