Adesso con il sottomarino nucleare USS Michigan nelle acque sud-coreane per dare manforte alla portaerei Carl Vinson che Kim Jong-un, il dittatore-bimbominkione della Corea del Nord, ha minacciato di affondare con un colpo solo, sembra uno scenario piuttosto surreale ma in realtà quella di John Feffer – noto giornalista americano ed esperto di politica internazionale – è una idea quanto meno suggestiva.
Andiamo per gradi, per un argomento che è sulla bocca di tutti, dai politici ai giornalisti fino ai pensionati e addirittura al senatore Razzi. Ovvero, cosa frulla nel capoccione del bimbominkia per eccellenza?
Classe 1984, dittatore della Corea del Nord dal 2011 e di conseguenza il più giovane capo di Stato al mondo, pare con studi (in incognito) alla Scuola inglese internazionale di Berna e laurea coreana in fisica, i principali sceneggiatori di politica internazionale, che talvolta, è bene dirlo, sfociano anche nel fantascientifico, immaginano banalmente tre vie: la forza militare, quella non militare e la diplomazia.
In breve, questa è la panoramica.
Fondamentalmente, nonostante le scuole svizzere (le cito con un filo di ironia), Kim Jong-un viene visto da molti come un pazzo completo. Per questi, inevitabilmente, è del tutto inutile cercare di negoziare con lui: facciamolo fuori con il Michigan e la Vinson. Per altri, alcuni obiettivi razionali li persegue. Innanzitutto è interessato a sopravvivere: lui e il suo regime. E ciò nel medio-lungo periodo è possibile soltanto attraverso la sua legittimità ideologica e internazionale, difendendo la sovranità del paese anche minacciando l’uso di armi nucleari. Tale scuola di pensiero immagina nei suoi confronti il “bastone” delle sanzioni economiche che alla lunga lo sfiancheranno. E ancora ci sono i fautori dell’approccio diplomatico.
Poi John Feffer dice la sua.
Kim cerca in primo luogo la sua stessa sopravvivenza politica. E difatti ha trascorso i primi anni al potere consolidando la sua posizione e quindi eliminando, anche in modo pirotecnico, i potenziali rivali. Ecco che allora la chiave per la sua longevità dittatoriale sta proprio nel negoziare un accordo con gli Stati Uniti.
Da un lato Kim sa di correre un rischio diventando troppo dipendente dalla Cina, anche in funzione del ripudio a una dipendenza secolare nei loro confronti. Dall’altro lato la Corea del Nord è storicamente un paese anti-giapponese per via dell’occupazione coloniale subita. E infine nella sua stessa penisola ha rapporti complicatissimi con i “cugini” della Corea del Sud.
Ecco perciò che solo Washington è in grado di fornire tutto e subito: riconoscimento diplomatico internazionale e fine del suo isolamento economico. Per un accordo che libererebbe la Corea del Nord dall’orbita cinese e lancerebbe l’economia, sganciandola dagli investimenti sostanzialmente concentrati sulle risorse militari.
Come è possibile tutto ciò?
Con la logica della pragmatica. Dare moneta, vedere cammello, dove il “cammello” in questione sono le armi atomiche in possesso di Kim.
Naturalmente il dittatore bimbominkia non vuole solo il capitale in cambio delle sue armi nucleari, vuole garanzie di sicurezza, innanzitutto per se stesso. Con uno scenario che potrebbe partire con un periodo di graduale eliminazione del programma nucleare in cambio, con Kim che mantenendo il potere vedrebbe lo sviluppo di una serie di accordi in chiave internazionale, con la revoca delle sanzioni, accordi di pace e poi commerciali e così via.
Lo scenario prefigurato da Feffer è suggestivo e può davvero essere che Kim – in maniera quasi geniale (diabolicamente parlando) – utilizzi la leva nucleare e le relative schermaglie come merce di scambio per una normalizzazione dei rapporti internazionali mantenendo la leadership interna.
E a prescindere da questioni morali, forse presidente USA migliore di Trump non poteva trovarlo: l’uomo giusto al posto giusto?
Mentre Trump, cavalcando la leva populista, potrebbe sempre dire che ha portato la pace nella penisola coreana.
E vissero tutti felici e contenti.
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FORCHIELLI DELLA SERAPosta del Cuore
Pyongyang e Washington. E se il miglior alleato possibile per Kim Jong-un fosse proprio Trump?
Alberto Forchielli5 Maggio 20170
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