Per come è andata la mia vita, per quanto ho viaggiato negli ultimi trent’anni, non sono particolarmente attaccato agli oggetti, tant’è che non faccio collezioni di nessun genere. Ma chi ha la mia età – o, generalizzando, chi è adulto oggi – è comunque cresciuto in un’epoca di possesso: la casa, l’auto o la moto, l’orologio, i libri, l’arte nelle sue varie forme, eccetera. Mentre i giovani di questi anni sono ormai abituati alla “sharing economy”, ossia all’economia della condivisione, che molto probabilmente si svilupperà sempre di più. Per esempio, ecco che nelle case abbiamo accantonato i dvd per guardare i film su Netflix e buttato nel camino i libri – ovviamente scherzo – per leggerli con Kindle. Con un’opzione inimmaginabile fino a pochi anni fa: abbiamo più cose a disposizione possedendone di meno; questo, per l’appunto, attraverso la diffusione di una economia basata sulla condivisione e sui servizi in abbonamento. Dallo streaming ad Airbnb, Uber, eccetera.
Ma dove andremo a finire? Se lo chiedono in tanti, anche menti illuminate, come quelle di chi insegna alla Singularity University o come Kevin Kelly, scrittore, editorialista, fotografo e, tra le mille esperienze della sua vita trasversale, cofondatore della rivista Wired di cui è stato anche direttore. Che valuta la questione non solo sui concetti, molto concreti, di praticità e convenienza, ma considera soprattutto il comfort e la familiarità – valori difficili da digitalizzare o sottoscrivere –, utilizzando l’esempio dei vestiti, che effettivamente potremmo presto condividere.
Difatti una scansione corporale può misurarci al millimetro facendoci sapere quali vestiti sono perfetti per noi anche a distanza, consegnandoceli per indossarli anche soltanto in una occasione, per poi restituirli; e una volta puliti potranno essere inviati alla prossima persona. Magari, di primo acchito, è un’idea che ci piace poco, ma pensate alla straordinaria comodità di viaggiare lasciando a casa la valigia di vestiti e oggetti personali perché troviamo ciò che ci serve direttamente arrivati a destinazione; e lasciare tutto lì alla partenza. Fantastico.
Però c’è l’aspetto emozionale. Le scarpe che mi hanno accompagnato in mille posti? Le mie camicie azzurre e la t-shirt di Harvard lavata un milione di volte? È abbigliamento che mi rappresenta, che fa parte di me, della mia storia personale. E il cappello degli alpini di mio padre? Se anche lui avesse avuto l’abbigliamento in condivisione non avrei un ricordo fondamentale di lui.
Esempi simili si possono fare con tante altre cose, dagli utensili della cucina ai giocattoli, eccetera, eccetera. Con i medesimi dubbi, tra convenienza e sentimentalismo. Per non parlare dello status, che accompagna le società umane più o meno dalla notte dei tempi e che ancora oggi possiamo identificare con la casa esclusiva o l’auto d’epoca italiana rarissima o l’orologio meccanico svizzero del tutto introvabile o ancora gli abiti e gli accessori di lusso che tanto amano le nostre signore. E spesso il piacere di possedere va ben oltre la praticità e la convenienza, anzi alle volte è del tutto antitetico.
Fatte queste distinzioni, è interessante immaginare dove andrà il mondo di domani, tra usi e costumi che cambieranno in funzione delle generazioni future. E come fanno notare in Singularity, è sorprendente pensare alla crescita esplosiva di Airbnb in un periodo di tempo relativamente breve, considerando quanto “casa nostra” sia sempre stata valutata come uno spazio privato da custodire gelosamente e che invece in un attimo è stata trasformata e condivisa per scopi economici.
Così, abituati non più al possesso ma alla comodità della condivisione, gli uomini di domani – tra vent’anni o cento –, penseranno a noi con curiosità, sapendo che facevamo follie per beni che invece loro condividono e lasciano ad altri senza battere ciglio.
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FORCHIELLI DELLA SERA
Possesso e condivisione negli uomini di domani. Abbiamo più cose a disposizione possedendone di meno, tra praticità e convenienza, sentimentalismo e status.
Alberto Forchielli5 Ottobre 20170
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