E’ da parecchio che noi italiani lamentiamo il fatto di non essere nella stanza dei bottoni , per intenderci il locale in cui si ritrovano i membri del club ristretto realmente dotato di potere decisionale .
In altri tempi , quelli del nostro maggior splendore in cui eravamo la quarta o la quinta potenza economica del mondo e potevamo persino legittimamente sperare di essere prima o poi cooptati anche fra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la protesta italiana appariva motivata da una logica ineccepibile . Il che non impediva però alle nostre richieste di cadere nel vuoto ogni volta che si trattava di selezionare chi dovesse sedersi intorno ad un tavolo , e poco importa che si trattasse di quello della guerra o quello della pace .
Col tempo finimmo addirittura con l’essere tanto scioccati da questo comportamento internazionale da dar vita alla cosiddetta “politica del sedere ” consistente in una corsa disperata per farci assegnare una seggiola ogni qualvolta si aprisse un tavolo di trattativa cui valeva la pena di farsi vedere . Che poi fossimo o meno in grado di fornire un costruttivo apporto ai lavori , questo importava molto di meno , o non importava affatto . La vera cosa importante consisteva nel disporre di una seggiola intorno a quel tavolo e che il fatto si risapesse . Era una politica dell’apparire , certo non una politica dell’essere.
Le reazioni alle esclusioni , le poche volte che si verificarono , furono dovute molto più a comportamenti individuali di politici e funzionari italiani , esasperati da atteggiamenti che ritenevano tanto ingiusti ed immotivati da essere ai limiti dello scorretto , che a ferme prese di posizione da parte dei nostri governi del momento .
Così Susanna Agnelli , allora Ministro degli Esteri ,impose agli Alleati che pretendevano di usare più o meno a loro discrezione il nostro territorio per le operazioni militari dirette contro gli stati eredi della Federazione Jugoslava senza ammetterci in quel Gruppo di Contatto in cui si maturavano le decisioni fondamentali , di scegliere fra due alternative. O inserire l’Italia fra gli Happy Few , oppure andare a schierare altrove – cioè molto più lontani dagli obiettivi – le loro navi ed i loro aerei. Gli altri cedettero , ma c’è da chiedersi per quanta parte la nostra reazione fosse motivata da decisioni ministeriali e per quanta dall’orgoglio degli Agnelli.
Alle Nazioni Unite , allorché si discuteva quel “quick fix” che avrebbe assegnato seggi di Membro Permanente nel Consiglio di Sicurezza a Giappone e Germania , escludendo definitivamente il nostro paese da ogni prospettiva di avanzamento , furono poi l’iniziativa e la fantasia dell’Ambasciatore Fulci che ci consentirono di fermare la manovra capitalizzando soprattutto sui voti dei paesi più piccoli della Assemblea , corteggiati individualmente e cooptati in un club che con immagine molto italiana aveva come insegna una tazzina di caffè.
Al di la’ di questi esempi , macroscopici ed in un certo senso ormai entrati nella leggenda del nostro servizio diplomatico , a tutti noi funzionari italiani che abbiamo operato all’ estero nei decenni trascorsi e’ capitato sovente di sentirsi dire da pari grado di altri paesi con cui lavoravamo ogni giorno ed eravamo ad un tale livello di confidenza da considerarli quasi amici “sei in gamba , benché tu sa italiano ! ” . E quel “malgre’ ” francese , o quel “despite” inglese , bruciavano come un ferro rovente!
In un certo senso ogni volta era come trovarsi di fronte ad una valutazione del nostro paese e si trattava di una valutazione che rimaneva costantemente negativa , per ragioni che verranno approfondite piu avanti.
Almeno in parte pero ciò era dovuto anche all’atteggiamento che i paesi più blasonati del nostro continente, quelli di peso maggiore , o di più vecchia nobiltà , o onusti ancora di ricordi e tradizioni imperiali , avevano sempre mantenuto verso i nuovi arrivati , coloro che soltanto nel corso dell’800 erano divenuti Stati.
La cosa era tanto evidente che mio padre , che per ragioni di eta’ in una guerra o nell’altra quei paesi li aveva combattuti quasi tutti , aveva finito col fornirmi , in inizio di carriera , un viatico rivelatosi poi particolarmente utile negli anni a venire.
“Gli inglesi , i francesi , i tedeschi , gli spagnoli ti tratteranno tutti dall’alto in basso allorché entrerai in contatto con loro la prima volta. – mi aveva detto – Tu non te ne preoccupare . Si tratta di un test con cui verificano se sei capace di reagire o accetti invece passivamente la condizione di inferiorità che cercano di importi. Se non ti ribelli subito sei perduto. Se invece stronchi sul nascere il loro tentativo , allora hai superato il test ed il rapporto può progredire su basi ben differenti” .
Aveva aggiunto poi , in conclusione ” Se proprio vuoi essere sicuro di non ritrovarti vittima del loro gioco , magari prima ancora di averlo percepito , allora non esitare e non lasciare loro l’iniziativa . Appena ti si offre una occasione , non esitare e picchiagli sui denti con tutta la forza che hai il timone del carro da buoi – Per i tanti che non hanno esperienza del mondo contadino di un tempo , specifico che si trattava di un pezzo di legno ben stagionato e particolarmente duro che poteva superare i quattro metri lunghezza ! – Non ti ameranno di sicuro , ma ti rispetteranno , ed è ciò di cui noi italiani più abbiamo bisogno.”
Folklore familiare a parte , comunque , con gli anni divenne chiaro come a determinare questo comportamento contribuissero essenzialmente due fattori principali.
Il primo consisteva senza dubbio nel modo in cui noi italiani , per natura ben poco inclini ad assumere posizioni dure e di aperto contrasto , reagivamo molto blandamente , o addirittura non reagivamo , ad esclusioni che in altri paesi sarebbero state recepite come un vero e proprio casus belli.
Il secondo , molto più grave , derivava invece dal fatto che gli stranieri conoscevano molto bene quali fossero i nostri grandi difetti nazionali ed erano portati a valutarli con una severità ben diversa dalla tolleranza auto assolutoria che di norma inficiava il nostro giudizio a riguardo.
In sostanza , considerata la disinvolta noncuranza con cui l’Italia accettava una economia per alcuni parametri sempre prossima al limite minimo di sopravvivenza , una corruzione costantemente crescente e che coinvolgeva in un unico calderone infernale finanza , politica industria e criminalità organizzata , una instabilità di governo divenuta negli anni una caratteristica distintiva del nostro paese , un sistema giudiziario farraginoso e pressoché paralizzato da una penalizzante scarsità di magistrati peraltro ulteriormente aggravata da una sovrabbondanza di leggi e di avvocati , una burocrazia in soprannumero scaglionata su diversi livelli – nazionale , regionale , provinciale comunale…- impegnati in una eterna guerra di competenze molto più che nella doverosa collaborazione, una industria guidata nei decenni recenti da personaggi che più che essere i “Capitani coraggiosi ” di cui favoleggiò Berlusconi ai tempi del finto salvataggio del’Alitalia erano i “Capitani senza gloria ” di cui al recente libro di Celli…..considerato tutto questo insomma che fiducia poteva pretendere l’Italia? E con quale fiducia si potevano scegliere rappresentanti italiani per posti di vertice che si presumeva che dovessero essere ricoperti con competenza , onesta’ ed onore?
Contribuivano poi alla nostra incapacità di ottenere una rappresentanza all’altezza del nostro contributo e del nostro ruolo anche altri difetti nazionali , apparentemente minori ma nella sostanza estremamente dannosi allorché si giungeva al momento della decisione.
Il primo consisteva nella abitudine di parlare perennemente male del nostro paese , senza alcun riguardo per il contesto in cui ciò avveniva . Bastava infatti che un qualsiasi interlocutore accennasse a qualcosa che non funzionava nello stivale perché si scatenasse fra gli italiani presenti una vera e propria gara a rincarare la dose con le conseguenze , prima sul piano dell’immagine e poi su altri piani più concreti , che ben si possono immaginare.
A peggiorare la situazione contribuiva inoltre l’abitudine tutta italiana di tentare di esportare in ogni sede, comprese quelle internazionali , elementi di contesa politica di interesse esclusivamente nazionale. In tale ottica non c’era affatto da stupirsi allorché ad esempio i nostri rappresentanti al Parlamento Europeo passavano il tempo a beccarsi l’un l’altro anziché far fronte comune per difendere gli interessi italiani , e qui il paragone con i capponi di Renzo di manzoniana memoria sorge proprio spontaneo!
Non c’è mai stata inoltre nel nostro DNA quella preziosa abitudine , che contraddistingue al massimo grado altri paesi europei , a considerare alcuni argomenti tanto importanti da far scattare da un certo momento in poi la molla del ” right or wrong , it’s my country!” , cioè di un intelligente politica bipartizan capace di indirizzare tutte le energie che l’Italia poteva esprimere verso il conseguimento di un risultato di rilievo.
Se mai il nostro atteggiamento ha invece sempre ricordato quello del signore della famosa vignetta di Altan , che si ripete interdetto ” wrong or wrong , it’s my country” ed appare incapace di convincere anche se stesso!
Per l’Italia e’ infine sempre stato difficile presentare candidati che presentassero le qualità giuste per ricoprire i posti alla cui assegnazione si concorreva.
Si tratta di un fenomeno che ha od ha avuto delle valide giustificazioni in ambito politico , almeno nel decennio immediatamente successivo all’avvento della cosiddetta seconda repubblica allorché dopo aver liquidato una intera vecchia classe politica non ne avevamo ancora una nuova abbastanza sperimentata e conosciuta da cui poter attingere per concorrere in ambito internazionale . Il risultato era che qualsiasi esigenza si prospettasse i nomi che circolavano erano sempre i soliti tre o quattro dei rari sopravvissuti alla epurazione cui veniva riconosciuta una specchiata onesta.
Assolutamente non giustificabile è invece stato , e lo è ancora , l’atteggiamento della nostra amministrazione che non ha mai programmato per tempo in questo settore finendo quindi spesso con il proporre , anche per posizioni di assoluto rilievo , candidati assolutamente improbabili designati all’ultimo minuto e spesso più per motivi clientelari che per ragioni di effettiva competenza e rispondenza ai requisiti richiesti . Il risultato è che altri paesi ci passano regolarmente avanti , finendo col ricoprire incarichi tali da esaltare a loro influenza a danno della nostra.
Così la struttura della Commissione Europea , dopo essere stata dominata per anni da francesi ed inglesi , è ora per buona parte nelle mani di francesi e tedeschi .
Alla NATO poi , ove paghiamo quasi il sette per cento delle spese , la nostra politica del personale e’ stata così dissennata da dar vita ad una terribile battuta che precisa come il suo sette per cento l’Italia sia riuscita a ricoprirlo pressoché esclusivamente con addetti alla sicurezza , camerieri per i ristoranti ed i bar del Quartier Generale e donne delle pulizie , cioè con il personale destinato a ricoprire gli incarichi di più basso livello.
A livello più alto siamo arrivati invece a proporre la candidatura di un ufficiale che aveva sempre lavorato all’istituto idrografico della Marina per un posto di rilievo nel settore della pianificazione nucleare , mentre tentavamo , più o meno contemporaneamente, di farne nominare un altro , invecchiato facendo il fotografo , alla testa del settore Operazioni dello Stato Maggiore Internazionale. Si tratta di casi realmente successi!
E’ dunque ad un complesso di ragioni ,in parte endogene ed in parte esogene , che noi dobbiamo il fatto di finire con l’essere molto spesso esclusi , o sottopagati , nel momento in cui si tratta di dividere le torte . Inutile quindi prendersela unicamente con gli altri sino a quando non saremo riusciti a porre rimedio alle nostre carenze.
Tra l’altro in tale contesto dovremmo anche rinunciare alla nostra tradizionale reticenza a chiedere di essere compensati adeguatamente per ogni posizione che assumiamo o iniziativa che prendiamo in ambito internazionale. Così mentre altri protagonisti ,magari più grandi , ricchi e potenti di noi , trattano ferocemente su ogni particolare del “mentre” o beneficio del “dopo” noi ci limitiamo spesso a rimanere inerti , senza comprendere che questo significa sottrarre all’Italia possibilità che le spettavano di diritto. Stupendoci magari poi quando scopriamo che “Italy is taken for granted ” , cioè che l’adesione italiana a decisioni altrui e’ già stata data per scontata ed acquisita in maniera irreversibile.
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