INTRODUZIONE
Nuovi rischi per l’ordine globale ….ma quale ordine globale ?
Se vi è stato un elemento che abbia più di tutti gli altri caratterizzato i venticinque anni trascorsi dalla caduta del muro di Berlino e dalla successiva dissoluzione della Unione Sovietica e del Patto di Varsavia – e quindi dell’equilibrio bipolare ! – esso può essere infatti identificato nella progressiva , ininterrotta disgregazione , nella teoria e nei fatti , di tutto ciò che era riuscito a dare al mondo almeno una parvenza d’ordine ed una fragile e precaria sicurezza nei cinquant’anni precedenti.
Una evoluzione che si rivelò in netto contrasto con quello che erano state le speranze ed i sogni dei primissimi tempi. L’apparente trionfo della democrazia e del libero mercato non si tradusse affatto in quella “Fine della storia ” che Francis Fukuyama preconizzava ed anche il cosiddetto “Dividendo della pace ” di cui avrebbero dovuto fruire i paesi usciti dall’era dei blocchi si rivelò a conti fatti molto inferiore a quanto era stato sperato.
L’unica vera conquista in questo senso fu in realtà in Occidente la sparizione della leva di massa , un istituto che era già divenuto obsoleto e mal tollerato e che le nuove condizioni resero del tutto inutile. Il passaggio a strutture militari composte esclusivamente da personale di carriera fini però nel medio periodo non soltanto con l’assorbire ogni risparmio che veniva realizzato in altri settori della difesa ma anche col creare una quanto mai disarmonica relazione fra spese per il personale , spese per i materiali e spese per l’esercizio di ogni bilancio della difesa. Oltretutto poi tale difetto ha evidenziato una tendenza a crescere negli anni così forte che non è stato assolutamente possibile sino ad ora ridurla o perlomeno contenerla.
La sola voce che immediatamente dopo la caduta del Muro di Berlino si elevo’ ad ammonire che il trionfo di un sistema sull’altro non costituiva affatto , per quanto buono il primo potesse essere e per quanto cattivo potesse essersi rivelato il secondo , un definitivo punto di arrivo fu quella del Santo Padre Giovanni Paolo II che ricordava , con estremo realismo , come anche l’Occidente fosse tutt’altro che privo di difetti gravi destinati prima o poi a venire al pettine.
UNA PACE DEL TUTTO PRIVA DI GENEROSITÀ
La pace fra Oriente ed Occidente che fece seguito alla fine della Guerra Fredda fu inoltre inficiata dal fatto che il vincitore apparve sin dall’inizio deciso a fissarne da solo i termini , senza ascoltare in merito la voce dello sconfitto. Si trattò di una mancanza di generosità che confinò con la stupidità , considerato come anche la storia più recente dimostrasse come le uniche paci destinate a rivelarsi stabilì ed a durare fossero quelle che non lasciano risentimenti indelebili in alcuno.
A ciò si aggiunse anche la assoluta mancanza di visione strategica e di chiarezza negli intenti dei due campi , nonché l’incapacità di porre realmente sul tavolo per la discussione il reale problema comune. In un certo senso il quadro complessivo rimase così dominato dal timore reciproco e le paure profonde che dominavano i due campi restarono inespresse
Da parte occidentale non si propose mai alla URSS prima , alla Russia poi, di valutare congiuntamente che cosa si potesse fare per arginare la irrazionale paura di un suo eventuale ritorno offensivo che mirasse a riprendere tutto ciò che era stato perso in Europa . Eppure si trattava di un timore così fondamentale e tanto radicato che ancora oggi esso domina l’atteggiamento in politica estera di molti paesi del nord est europeo , influenzando nel contempo anche l’evoluzione e l’orientamento della Alleanza Atlantica e producendo sporadici frutti avvelenati come gli scontri in Georgia di qualche anno fa e la vicenda ucraina ancora in corso.
Da parte russa non si diede invece voce a quella paura della aggressione proveniente da ovest che ossessiona Mosca da almeno quattro secoli al punto tale che la pressoché cinquantennale occupazione di mezza Europa veniva giustificata con la necessità di ripararsi dietro un cuscinetto che avrebbe ammortizzato l’urto nel momento in cui questo fosse venuto.
Ci fu invece soltanto , e per di più unicamente in una sede informale , uno scambio di idee sulla possibilità che la NATO si allargasse o meno verso est che non approdò a nulla di ufficiale benché la Russia continui invece a citarlo come una promessa disattesa.
Così , benché si proclamasse continuamente che si voleva “Una Russia libera , democratica e prospera ” non si fece nulla per aiutarla a scegliere la giusta strada ma la si abbandonò ad un periodo di umiliazioni e convulsioni interne destinato a durare più di un decennio e da cui essa uscì priva di qualsiasi fiducia sulle reali buone intenzioni dell’Occidente.
TENTATIVI DI RICOSTRUZIONE E NUOVI PROBLEMI
A nostra scusante , e soprattutto a scusante della Europa , vi è comunque da sottolineare come si sia trattato di un decennio molto pesante , contrassegnato da un lato dagli ultimi coerenti tentativi di conferire nuova ed inedita forma all’ordine mondiale , dall’altro dallo sforzo costante e ripetuto di contenere le nuove tensioni originate dalla sparizione della rete di controllo con cui per lungo tempo l’ordine bipolare aveva ingabbiato il mondo.
È di quegli anni , gli anni novanta del secolo scorso , il tentativo di Bush padre di instaurare un ” nuovo ordine mondiale ” che assegnasse alle Nazioni Unite un ruolo presso che esclusivamente legittimante ed alle coalizioni degli stati volonterosi , ovviamente guidate dagli Stati Uniti , quello di braccio armato del nuovo sistema. Si trattò di sforzo che resse e sembrò avere successo giusto il tempo della prima guerra del Kuwait , per poi fallire di fronte alle successive difficoltà lasciando in tutti , come eredità unica , l’idea che un riferimento iniziale ad un giudizio delle Nazioni Unite dovesse divenire una costante da rispettare in ogni caso.
Le esperienze successive mostrarono con assoluta chiarezza come coloro che volevano approfittare dell’uscita di custodia per migliorare o cambiare la propria posizione fossero molti di più di coloro cui la necessità più impellente appariva quella di instaurare quanto prima un nuovo ordine di riferimento . Stati vecchi e Stati nuovi incalzavano , coltivando sogni di espansione e potenza che sembravano prima proibiti ed utilizzando come casus belli i pretesti forniti dal vecchio repertorio di tutti i fantasmi etnici , religiosi , culturali e storici che potevano essere riesumati dai fondi polverosi degli armadi.
La Jugoslavia esplose così senza che riuscissimo impedirlo ed occorsero ben sette anni particolarmente sanguinosi perché nuovi Stati sovrani nascessero dalle sue ceneri. Buona parte dei Balcani restò comunque una area in libertà vigilata ed in cui l’opera di pacificazione appariva ancora non del tutto e definitivamente compiuta. Una condizione che purtroppo anche al giorno d’oggi non appare ancora completamente sanata.
In simili condizioni gli Stati Uniti dovettero dapprima rendersi conto con sorpresa di come , anche nel periodo del maggiore contrasto , la Russia fosse stata per loro sulla scena internazionale più un partner che un avversario. Insieme avevano avuto per un cinquantennio quella forza necessaria per dominare il mondo che ora , con la sparizione di Mosca dall’arena , Washington ed i suoi alleati tradizionali non riuscivano ad avere da soli.
A ciò si aggiunse il fatto che la leadership americana , incontrastata nel periodo dei blocchi , veniva ora sfidata da nuovi colossi emergenti . In un orizzonte che era parso sino ad allora lontano ma che l’inizio della globalizzazione rendeva improvvisamente molto vicino incombeva la grande ombra di una Cina la cui economia progrediva con tassi di sviluppo a due cifre che l’Occidente aveva da molto tempo dimenticato . Un poco più tardi si sarebbe iniziato anche a parlare dei BRICS , i grandi paesi dei vari continenti che sembravano possedere anche essi tutte le caratteristiche per trasformarsi col tempo in potenze di riferimento . Nel seno stesso del mondo occidentale gli USA vedevano poi con allarme crescere costantemente una Unione Europea con un processo di allargamento ed approfondimento cui essi non potevano ufficialmente opporsi senza rimettere in discussione amicizie consolidate e fondate sulla condivisione dei valori ma che poteva portarli , anche se non in tempi brevi , a dover tener conto di un secondo competitore alla leadership mondiale.
Per loro fortuna fu l’Europa stessa che non seppe reggere un ritmo che avrebbe dovuto permettere alla UE di allargarsi e di approfondire i legami fra gli stati membri , due risultati difficilissimi a conseguirsi nel medesimo tempo. Altri errori furono poi fatti in ambito europeo allorché si passo’ alla moneta comune e ciò permise che avvenisse proprio ciò che si poteva e voleva evitare , vale a dire la nascita di una Europa tedesca anziché della Germania europea che si era sperata. In seguito inoltre i cittadini ed il Governo tedesco scoprirono con piacere come le regole economiche che erano state fissate operassero tutte a loro favore creando una situazione in cui contro ogni logica i ricchi continuavano a derubare i poveri. Ne derivo il secco rifiuto di Berlino di accettare qualsiasi reale cambiamento e la progressiva conseguente trasformazione della Unione in una burocratica macchina conservatrice incapace di esercitare più alcuna attrazione sul singolo cittadino europeo . Si è trattato di un errore , e di un processo , che abbiamo già duramente pagato con la Brexit e che rischiamo altresì di continuare a pagare con l’avanzata dei movimenti populisti prevista per il prossimo futuro.
Tutto questo avveniva su uno sfondo che appariva costantemente inquieto ed in cui i problemi si sommavano ai problemi mentre le crisi si succedevano l’una all’altra .
L’ERA DEL CAMBIAMENTO
Faticosamente si finì col renderci conto di come ci trovassimo nell’occhio di un vero e proprio ciclone , vale a dire di un cambiamento destinato ad avere lunga durata e imprevista profondità e che avrebbe finito col riconsegnarci un giorno un mondo ben diverso di quello che era nella nostra memoria , e probabilmente anche nelle nostre aspirazioni. Questo non ci diede però automaticamente la capacita di ragionare con regole nuove e di accettare schemi inediti . Eravamo , e siamo tuttora , nel periodo in cui si riconosce l’inadeguatezza del vecchio paradigma senza essere però ancora in grado di elaborare uno nuovo.
Per un breve momento ci illudemmo , tra l’altro , che la globalizzazione che si imponeva con velocità sempre crescente potesse essere la panacea universale che ci conferiva la capacita’ di far fronte ad ogni problema . Una speranza subito smentita dai fatti , allorché ci accorgemmo di come essa fosse rapidissima nel dare portata mondiale alle domande ed alla crescita delle aspettative ma non fosse affatto in condizione di far fronte alle nuove richieste e di fornire delle accettabili risposte ai nuovi problemi con la medesima velocità.
Così l’avvento del terzo millennio ci trovò alle prese con difficoltà di cui , volenti o nolenti , non riuscivamo ancora a misurare la precisa estensione .
La popolazione del mondo cresceva a ritmi impressionanti e molti paesi stavano finendo per questo con l’essere prossimi alle condizioni limite in cui , come diceva un Segretario Generale della FAO ” Non ci sono altre alternative : o ci si ribella , o si emigra , o si muore”.
Contemporaneamente le aspettative create dalle aumentate possibilità di comunicazione connesse all’avanzata del processo di globalizzazione , associate ad una rete di trasporti che copriva con efficacia tutto il mondo , iniziavano ad innescare un fenomeno “dei vasi comunicanti ” che incrementava progressivamente i flussi umani dalle zone meno favorite a quelle economicamente più prospere.
Si andava chiaramente verso un progressivo livellamento che avrebbe generato una mescolanza di popoli , di culture , di pelli e di religioni assolutamente inedito e che non apparivamo , almeno per il momento , in condizione di affrontare .
In un certo senso , in scala decisamente più estesa , ci trovavamo di fronte ad un periodo che aveva caratteristiche molto simili a quello che precedette la caduta dell’Impero Romano sotto la spinta di ondate di barbari provenienti da est che si rinnovavano l’una dopo l’altra . La velocità che la globalizzazione aveva conferito a tutti gli aspetti della nostra vita rendeva tra l’altro inutile sperare che ci fosse il tempo necessario a permettere alla ricchezza globale di crescere al punto da permetterci di fronteggiare contemporaneamente tutte le necessità.
CRISI DELLE RELIGIONI E TERRORISMO
Ne’del resto i dimenticati apparivano più disposti ad essere dimenticati . In particolare il mondo arabo , quel sud europeo che l’Europa aveva per lungo tempo trascurato per dedicare all’est tutte le sue risorse ed energie , iniziava ad esplodere sotto la spinta contemporanea della insufficienza delle risorse , della sovrappopolazione, della mancanza di prospettive per i giovani . Una miscela che di per se’ era già esplosiva ma a cui gli estremismi religiosi , soprattutto quelli che trovavano origine nella movenza Wahabita del credo sunnita , sponsorizzata più o meno apertamente da Riyad , fornirono un potente innesco .
Gli Stati Uniti dapprima , tutto il mondo occidentale poi , si ritrovarono così all’inizio degli anni duemila a dover fare fronte ad un altro problema , apparentemente folle ma in realtà dotato di radici ben profonde come dimostrano chiaramente ora le difficoltà che incontriamo nello sradicare il male. Si trattava cioè di riuscire a far fronte a movimenti terroristici e di opinione che , posti di fronte al problema di dover adattare una religione del settimo secolo ad una realtà del terzo millennio sceglievano come soluzione , da imporre ove necessario con la forza , quella di adattare invece il mondo del terzo millennio alla religione del settimo secolo.
Del resto poi la crisi della religione islamica centrata sulla sua assoluta mancanza di flessibilità era qualcosa che essa condivideva con tutte le altre religioni , tutte ammalate del medesimo male sia pure con differente gravità. Non si spiegherebbe altrimenti cosa stia succedendo alla Chiesa Cattolica che per la prima volta nella sua storia ha bisogno di due Papi , di cui uno quasi rivoluzionario , per far fronte ad una necessità di rinnovamento fortemente sentita da tutti i fedeli . O alle Chiese Ortodosse , ove segmenti da sempre gelosamente nazionali della medesima religione iniziano a dialogare fra loro. O ad alcune delle sette protestanti , partite alla conquista missionaria dell’Africa nera con una intensità ed un fervore collettivo che non si registravano da tempo.
A complicare ulteriormente il quadro contribuisce poi il modo in cui le fedi , che avevano un tempo ciascuna un proprio territorio in cui se maggioritarie rimanevano dominanti quando non escludevano le altre , siano ora anche esse soggetto e parte della nuova mescolanza di popolazioni diverse nella medesima area , ove sono quindi costrette ad elaborare almeno un modus vivendi .
Quanto ciò possa risultare difficile lo si può constatare pensando allo sforzo che dovremo fare in Europa per inserire in un insieme unico i cristiani , per cui la sovranità appartiene al popolo che è quindi il solo soggetto abilitato ad elaborare le leggi per il tramite degli organi a ciò delegati ed i musulmani , per cui le leggi le fa unicamente Iddio. Quanto poi ciò possa risultare disagevole e pericoloso c’è lo dimostrano gli scontri degli anni novanta nell’area dei Balcani che pur essendo stati in origine conflitti etnici e politici finirono poi con l’assumere rapidamente anche una colorazione religiosa destinata , almeno nel caso della Bosnia , ad imporsi come dominante. O , ancora peggio , lo evidenzia altresì il modo in cui nell’area medio orientale gli estremisti sunniti dell’ISIS hanno avuto immediatamente cura di azzerare la presenza di altre confessioni nei territori controllati.
Anche nel caso dei fermenti dell’estremismo islamico ci siamo illusi , e forse continuiamo ancora ad illuderci , che essi potessero essere contenuti attraverso il ricorso alla forza militare .
E del resto , come preciso’ il Presidente Obama in un suo discorso ai cadetti di West Point ” Quando uno dispone soltanto di un martello avrà di certo una forte tendenza a vedere tutti i problemi come chiodi” , e di sicuro il settore della sicurezza e della difesa rimane ancora quello in cui l’Occidente , ed in particolare gli Stati Uniti , gode ancora di un considerevole vantaggio su tutto il resto del mondo.
Washington ed alcuni dei suoi alleati si sono quindi impegnati in tre guerre , prima in Afghanistan , poi in Iraq ed in seguito in Libia solo per scoprire che una volta concluso vittoriosamente il conflitto non disponevano assolutamente dei mezzi per vincere la pace. Dalle tre guerre sono uscite una situazione instabile in Afghanistan , ove la NATO si è dissanguata pressoché inutilmente per un decennio , mentre l’Iraq , in cui le divisioni confessionali pesavano molto più del buonsenso , e’ divenuto il brodo di cultura che ha generato il Califfato contro cui ci battiamo attualmente. La Libia poi rimane ufficialmente divisa fra due partiti contrapposti mentre il potere reale resta appannaggio di centinaia di diverse bande armate in una lotta di tutti contro tutti.
Nel frattempo , nel concorrere di vari fattori , un generale clima di forte instabilità ha finito con l’instaurarsi in tutto il mondo arabo e nelle sue periferie ove , dopo le “Primavere arabe ” e le successive reazioni , dopo lo scoppio della guerra civile siriana , dopo la rapida affermazione conseguita dall’ISIS in Siria ed in Iraq nessun governo appare più saldamente in controllo della sua popolazione e del suo territorio. In un crogiolo rapidamente divenuto infernale i motivi di contrasto di fondono l’uno all’altro generando conflitti che a loro volta anche essi si sovrappongono sino a fondersi
Il primo , palese , e’ la contrapposizione armata fra la movenza sunnita dell’Islam e quella sciita , uno scontro in un certo senso tradizionale che ha vissuto attraverso i secoli momenti di acuta tensione ed altri di sospettosa convivenza ma che in tempi recenti si è riacutizzato a causa della progressiva crescita dell’Iran , che è sembrato anche ad un passo dal divenire una potenza nucleare. Si è così innescata una reazione di contenimento sunnita che ha accesso focolai di guerra rapidamente dilagati sino a divenire terribili incendi in Siria , in Iraq , in Yemen.
A complicare ulteriormente le cose ha concorso anche il fatto che mentre il mondo sciita risulta in sostanza abbastanza omogeneo e fa sostanzialmente riferimento alla sola leadership iraniana , quello sunnita è guidato invece da ben tre potenze regionali , Egitto , Arabia Saudita e Turchia , in contrasto l’una con l’altra nel tentativo di ciascuna di esse di divenire la guida incontrastata di quell’intero settore dell’Islam. Un fatto che le costringe ad un costante attivismo e che in un certo senso ha da un certo punto in poi costretto anche due delle attuali grandi potenze , la Russia e gli Stati Uniti , a prendere posizione e ad impegnarsi con coinvolgimenti che , pur se limitati all’inizio , appaiono in ogni caso destinati a seguire la terribile logica della continua crescita.
Nella confusione generale di questo scontro si è inserito poi anche il terrorismo , approfittando della debolezza di alcuni , nonché delle esitazioni e della incapacità di altri per occupare rapidamente territori , trasformandosi in un movimento insurrezionale capace di dar vita ad un nuovo stato e di gestirlo con una certa efficacia.
Soltanto adesso , con l’offensiva a tenaglia su Raqqa da un lato e Mosul dall’altro , le forze che si oppongono all’estremismo sunnita sembrano sul punto di riguadagnare in Medio Oriente il terreno che negli anni scorsi avevano perduto od almeno parte di esso. Un avvenimento che ben difficilmente porterà però una pace stabile , considerate da un lato le tensioni che condizionano la momentanea alleanza tenuta insieme per il momento dalla necessità di debellare l’idra del Califfato e visto , dall’altro , come la generale instabilità degli anni più recenti abbia segnalato l’impossibilità di continuare a mantenere ulteriormente in area mediorientale frontiere definite fra le vecchie potenze coloniali al termine della prima guerra mondiale.
UNA EUROPA SEMPRE PIU RIPIEGATA SU SE STESSA
In questo nuovo mondo che sta sempre di più divenendo un mondo estremamente inquieto e che cambia di giorno in giorno alla disperata ricerca di protagonisti e di regole nuove che riescano a garantirgli quel minimo di stabilità necessario per progredire affrontando con qualche speranza di successo i grandi problemi comuni l ‘Unione Europea brilla ogni giorno di più per la sua costante assenza negli scenari e nei momenti decisivi.
In un certo senso la crisi non investe soltanto lei ma come lei anche le altre grandi Organizzazioni Internazionali che negli ultimi anni non hanno dimostrato una capacita adeguata alle aspettative o alle speranze. Le Nazioni Unite , oltre a rimanere una fotografia del mondo quale era nel 1945 , non sono assolutamente riuscite a rinnovarsi e rischiano addirittura una totale paralisi. E’ quanto ha rimproverato ai membri del Consiglio di Sicurezza con diritto di veto lo stesso Segretario generale della organizzazione nel suo discorso di quest’anno alla Assemblea Generale. Quanto alla NATO dopo avere vivacchiato per decenni pensando soltanto alla propria difficile sopravvivenza essa sembra divenuta attualmente lo strumento prediletto di coloro che intendono mantenere artificialmente viva una continua tensione fra l’Occidente e la Russia. Il risultato è che si concentra unicamente sui problemi della Ucraina e della frontiera orientale del tutto obliando quei problemi a sud che si stanno invece imponendo con evidenza come i veri problemi del nostro futuro.
Fra tutte le organizzazioni comunque l’Unione Europea appare come quella che più soffre per la situazione attuale , senza peraltro riuscire per questo di trovare la forza di reagire all’accumularsi di concorrenti situazioni di crisi in diversi settori . In un certo senso è come se tutti gli errori che sono stati commessi durante la sua costruzione ed i risultati da essi prodotti si fossero trasformati in una serie di nodi che tutti contemporaneamente giungono al pettine.
Che la nostra costruzione fosse squilibrata era qualcosa che sapevamo bene sin dall’inizio al punto tale che ci scherzavamo sopra. Quante volte e’ stato ripetuto come essa fosse ” Un gigante economico , un nano politico ed un verme militare “? Non ci siamo però resi conto che una situazione del genere , perpetuandosi nel lungo periodo , ci avrebbe lasciati , ancora del tutto privi di una politica estera e di sicurezza comune , nelle mani dei giganti che la storia la fanno , mentre tutti gli altri – purtroppo noi compresi – sono destinati a subirla soltanto .
Anche in ambito economico nel fissare le regole iniziali del nostro sodalizio siamo stati incapaci di guardare alla lunga scadenza , favorendo così alcuni paesi a scapito di altri . Del tutto particolare il caso della Germania che è risultata , per gli errori altrui e per la propria superiore capacità , la grande beneficiaria di questa situazione e che ora si oppone logicamente con ferocia ad ogni ipotesi di un riequilibrio che sarebbe indispensabile ma almeno nei tempi brevi risulterebbe a suo sfavore. Il rischio finale diventa in tal modo quello di continuare a restare soggetti per un tempo indefinito a regole che nella pratica si sono già dimostrate troppo rigide o addirittura foriere di esiti negativi.
Il processo di allargamento , che pure tanto ha contribuito a dare stabilità ai paesi di recente accesso , si è svolto senza che venissero fissati per ogni caso particolare gli indispensabili paletti che garantissero da parte dei nuovi venuti un comportamento in linea con quello degli altri membri . Ciò che abbiamo così ottenuto è stata una situazione in cui tutti sono disponibili allorché si tratta di prendere mentre ben pochi appaiono pronti a condividere anche le difficoltà che di volta in volta si presentano .
L’ Unione Europea non è stata inoltre capace di generare una immagine di se stessa che potesse parlare contemporaneamente alle menti ed ai cuori dei cittadini dei suoi stati . In assenza di un modello attrattivo l’attenzione si è così concentrata sugli aspetti più negativi della organizzazione e della sua burocrazia , che ha finito con l’essere considerata come una improduttiva casta di privilegiati . Ne è nato un senso di rigetto che sommandosi alle multiple difficoltà del momento attuale ha finito col dare fiato in ogni paese ai movimenti che più decisamente si opponevano al processo di costruzione europea . Il caso di maggior rilievo è stato quello della Gran Bretagna che la vittoria della Brexit nel recente referendum ha addirittura portato fuori dall’Unione.
Da rilevare comunque come , sia in questo caso che negli altri che prima o poi dovranno affrontare sotto diverse forme il vaglio di una consultazione elettorale , nessuna formazione politica sia stata capace di elaborare una vera e propria proposta nuova che consenta di progredire in direzione del cambiamento del mondo . Sono stati invece proposti soltanto ritorni all’antico , all’Inghilterra di un tempo , alla Germania del Marco , alla Francia di ” monsieur francais moyen “……
L’Europa , e per essa l ‘Unione , rimane quindi prigioniera di un declino che è destinato a rimanere costante fino a quando non riuscirà ad uscire dalla morsa in cui la stringono un nuovo paradigma che nessuno sembra per il momento capace di elaborare ed un vecchio paradigma basato su criteri ed istituzioni di democrazia che sono più paralizzanti che funzionali e nessuno ha la forza , e forse anche la voglia , di riformare.
Nel frattempo , anche se noi ci illudiamo che il male non sia grave e che si disponga ancora di tempo per soccorrere il malato , la crisi dell’Occidente e delle sue democrazie è invece percepita con precisione da tutti quei paesi del mondo che un tempo a noi si ispiravano facendo riferimento ai nostri modelli per orientare le loro forme di governo . Non sono un caso , in questa ottica , né il fatto che i regimi arabi colpiti per primi dal sollevarsi dei giovani nelle “Primavere” siano stati quelli più ispirati da noi ed a noi più prossimi , né il pullulare delle cosiddette “democrature” che , pur cercando di salvaguardare alcuni elementi di originarie democrazie , non esitano ad affidarsi alla guida di un uomo forte. La Russia di Putin e la Turchia di Erdogan sono in questo senso veri e propri ” casi di scuola”, come potrebbero divenirlo nei prossimi anni anche gli Stati Uniti di Trump
CONCLUSIONE
Nuovi rischi per l’ordine mondiale?
Il più grave certamente è che si continui a non renderci pienamente conto dell’ampiezza e profondità del processo di cambiamento in atto e di cui tutti noi siamo parte . Che non si capisca come molti dei problemi che ci troviamo a dover affrontare , inquinamento , clima , migrazioni , sovrappopolamento , fame….siano in realtà problemi globali che ammettono soltanto una risposta del medesimo ordine di dimensioni , vale a dire globale.
Problematico anche il fatto che nel momento in cui si tratta di elaborare nuove soluzioni noi risultiamo capaci soltanto di proporre ritorni all’antico che all’atto pratico dei fatti risulterebbero del tutto privi di qualsiasi reale efficacia o addirittura peggiorerebbero situazioni già di per se critiche .
Indubbiamente il passaggio dal vecchio paradigma non più efficace ad un nuovo paradigma più rispondente a tempi ed a situazioni verrebbe considerevolmente agevolato da un lato dalla disponibilità di leaders più adeguati , dall’altro dalla capacita di saper guardare con occhi nuovi e forte spirito critico le strutture portanti della nostra società : il fatto che esse ci abbiano servito bene sino a ieri non significa infatti che esse siano necessariamente le migliori possibili per l’oggi e per il domani.
Ovvii i pericoli insiti in entrambe le parti di questo ragionamento . La ricerca di leader più forti e diversi da parte di masse che istintivamente percepiscono la spinta all’indispensabile cambiamento può infatti concludersi con disastrosi errori . Da noi un altro periodo di lungo cambiamento produsse Mussolini ed il ventennio fascista ! Inoltre il riequilibrio di istituzioni in crisi è sempre operazione lunga e delicatissima che solo rare volte si conclude con un completo successo mentre invece spesso richiede lunghi e dolorosi adattamenti successivi.
Il mondo nuovo ci richiede inoltre una tolleranza ed una capacità di adattamento di cui , almeno per il momento assolutamente non disponiamo. Lacuna che ci impedisce di essere pronti per il momento , che invece verrà molto presto , in cui non soltanto il brassage di razze , pelli , religioni ed altro raggiungerà il suo culmine ma in cui dovremo altresì rassegnarci all’idea di una possibile diversa divisione delle risorse disponibili , per noi molto più sfavorevole di quella attuale. Cose che dovremo accettare come fatti , che possono solo essere messi in linea di conto , e non come problemi , per cui è ogni volta possibile ricercare la migliore delle soluzioni.
Infine , prendendo atto di come anche questo sia uno degli effetti di una globalizzazione che non esclude né può escludere ogni settore , compresi quelli che noi avremmo preferito non fossero toccati , abbiamo il problema , ed il dovere , di comprendere la necessità di intervenire tempestivamente ogni volta che va a fuoco il campo di un vicino per evitare che il fuoco si estenda rapidamente ai nostri campi ed alla nostra casa. È qualche cosa che non abbiamo fatto tempestivamente in Medio Oriente , ed ora ci troviamo a pagare un conto molto più’ alto di quello che avremmo dovuto saldare se fossimo stati maggiormente solleciti . Lo stesso succede in Libia , in Ucraina , in Yemen , nel Sahel e domani potrebbe succedere in centinaia di altri posti . Non ci sono limiti alla follia dell’uomo , soprattutto allorché egli è vittima del disorientamento dovuto ad una situazione di tensione che percepisce con chiarezza senza pero’ arrivare ad identificarne i rimedi.
Quale è quindi il più grande dei nostri nuovi problemi ? Evidentemente quello di riuscire a definire un nuovo paradigma che consenta a chiunque di provare la sensazione di vivere inserito in un ordine mondiale capace di prendersi cura della sua sicurezza.
Articolo pubblicato in inglese sul volume “Nomos e Khaos 2017” di Nomisma , curato quest’anno da Andrea Goldstein e Julia Culver.
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