Il 14 febbraio è morto Michele Ferrero, 89enne patron della multinazionale dolciaria. Parlava solo dialetto, rifiutava le lauree honoris causa, rispondendo che “basta il buon senso” e in azienda diceva “mi raccomando, pochi laureati, più studiano più diventano stupidi”.
Il primo laboratorio Ferrero nasce ad Alba nel 1942 grazie a Pietro e Piera, i genitori di Michele, mentre l’azienda vera e propria viene fondata nel 1946. Alla morte del padre, avvenuta nel 1949, la direzione passa alla madre Piera, allo zio Giovanni e a lui, l’inventore dei prodotti che escono dal settore dolciario ed entrano di diritto nell’immaginario collettivo: Mon Chéri (1956), Tic Tac (1969), Ferrero Rocher (1982). E, soprattutto, della Nutella (1964), modificando la “Supercrema” a base di nocciole che aveva realizzato il padre e rendendola quello che è oggi. Oltre alla linea Kinder che rappresenta il 50% del fatturato attuale.
Michele Ferrero – che nella classifica 2014 di Forbes, con un patrimonio personale di 23,4 miliardi di dollari, è considerato l’uomo più ricco d’Italia e il 30esimo al mondo – ha lasciato al figlio Giovanni, amministratore delegato del gruppo dal 1997 (l’altro figlio, Pietro, è stato stroncato da un infarto nel 2011) – un “colosso” presente in 53 Paesi, con 20 stabilimenti, 34mila dipendenti, un fatturato di 8,4 miliardi di euro e profitti per 800 milioni di euro. E un’azienda che da sempre persegue innovazione, qualità, scarsa intermediazione sindacale e grande welfare aziendale, con fondazioni benefiche nelle Langhe e imprese sociali in Africa e India.
Alberto, cosa pensi di Michele Ferrero? “È stato un assoluto gigante e probabilmente è stato il più grande imprenditore italiano di ogni tempo, non solo per i risultati che ha ottenuto ma per l’amore che ha dimostrato nei confronti dell’azienda, dei dipendenti, del territorio e dei clienti. Aveva una attenzione maniacale per la qualità dei prodotti, per come facevano la spesa le massaie e per il posizionamento sugli scaffali. Ha lavorato fino all’ultimo giorno, continuando a innovare e pensando sempre al futuro dell’azienda. Ha creato benessere per tutti: per chi faceva i suoi prodotti, per chi li vendeva e per chi li mangiava. E i suoi dipendenti lo adoravano. Più di così un capitano d’azienda non può proprio fare. È davvero la perfetta figura dell’imprenditore da prendere come modello di riferimento a livello mondiale.”
Qualcuno, sottovoce, ha mugugnato. Però Michele Ferrero da vent’anni viveva a Montecarlo… E ancora, nonostante il cuore aziendale sia ben saldo in Piemonte, il portafoglio è in Lussemburgo, dove risiede la holding… Qual è il tuo commento? “Che la madre degli idioti è sempre incinta, perché un’azienda con quelle dimensioni e con una vocazione così multinazionale non ha altra scelta. E il motivo non è, come possono pensare gli stupidi, di non pagare le tasse, perché per quello basta tranquillamente restare in Italia, ma è per una questione operativa e logistica. E Michele Ferrero è stato antesignano anche in questo. In soldoni, mi riferisco alla burocrazia: un’azienda è giusto che vada dove la vogliono, non dove la ostacolano. E mi riferisco ai viaggi: gente che deve viaggiare di continuo e che riceve quotidianamente clienti da ogni parte del mondo non può avere a che fare con Malpensa o Fiumicino. I prezzi sono più alti, le destinazioni più lontane. I bagagli persi o rubati. Gli ospiti borseggiati. Il parallelo che deve fare aprire gli occhi a questi coglioni è che la Ferrero da vent’anni ha il marketing a Montecarlo e la finanza in Lussemburgo ed è una delle più grandi multinazionali dolciarie al mondo. In Italia, attraverso logiche che conosciamo perfettamente, nello stesso lasso di tempo siamo riusciti a mettere sul lastrico il Monte dei Paschi di Siena, una impresa epocale che non era riuscita a nessuno in 500 anni di storia. Andate a cagare.”
E d’altronde… Che mondo sarebbe senza Nutella?
Forchielli intervistato da Michele Mengoli per Oblòg (27 Febbraio 2015)
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