Libia e Minniti

Molte delle speranze di normalizzazione della situazione che l’Italia aveva nutrito per la Libia sono andate disattese nel corso dell’ultimo anno. Il paese è rimasto infatti diviso in due, conteso fra un Governo di Tripoli, ad Est, che gode della benedizione dell’ONU nonché, almeno ufficialmente, di un corale sostegno europeo ed un Governo di Tobruk, ad Ovest, che con l’appoggio palese dell’Egitto e quello occulto di molti altri e’ pervenuto di recente ad estendere la sua area di influenza sino a controllare buona parte delle risorse petrolifere libiche. Nel contempo il sud del paese, divenuto pressoché indipendente, è ricaduto in una anarchia tribale dominata dai due grandi gruppi etnici dei Tuareg e dei Toubous. A complicare il quadro giungono ora le confuse notizie di Tripoli ove alcune milizie ribelli, non si comprende ancora bene di quale fedeltà, avrebbero occupato ben tre Ministeri chiave rendendo ancor più aleatoria la presa che il Governo Serraj aveva su questa parte del paese. 

Tra l’altro anche l’apparente successo faticosamente ottenuto dalle milizie di Misurata che sono riuscite a cacciare l’ISIS dall’area che da più di un anno occupava a Sirte e nei dintorni appare non privo di ombre. Innanzitutto più che essere un successo del Premier Serraj esso e’stato un successo della città costiera. Rinforza quindi Misurata e non il Governo di Tripoli, rendendo ancora più squilibrato il rapporto fra le due componenti. C’è da considerare poi quanto ingente sia stato il costo della conquista di Sirte in termini di perdite. Un bilancio che indurrà certamente i misuratini ad astenersi in futuro dall’impegno in altre imprese di questo tipo. E’ chiaro inoltre come un gran numero di estremisti sia riuscito a filtrare dall’assedio ed a prendere altre strade. Andando magari a rinforzare quella galassia islamica che opera nella fascia fra il nord Africa costiero ed il Sahel ove prima o poi, quando la sua presenza armata avrà raggiunto la consistenza critica, il Califfato rialzerà le sue nere bandiere. I fatti odierni di Tripoli ed il modo in cui alcuni osservatori tendono ad attribuirle a seguaci di un precedente Premier libico più estremista di Serraj, fanno anche pensare che una parte di loro possa aver rinforzato le milizie tripoline dell’ala più dura. Una ipotesi che, se fosse vera, ci costringerebbe a rivedere su altre  basi la nostra politica nei riguardi del paese.

Le speranze italiane di controllare per il tramite di un Governo libico unificato un flusso di migranti che ha raggiunto livelli insostenibili per il nostro paese dopo che è divenuto efficace l’accordo fra Unione Europea e Turchia finalizzato su controllo e chiusura della rotta balcanica, appaiono in questo contesto molto in forse, nonostante esse fossero state di recente rilanciate dalla missione a Tripoli del nostro Ministro dell’Interno, Marco Minniti. Una missione che mirava ad evidenziarsi  col tempo come la prima punta visibile di un iceberg di iniziative politico diplomatiche pilotate dal Governo italiano, condivise dai nostri alleati e sostenute infine dalla Unione Europea e dalle Nazioni Unite.

Interessante il fatto che il Governo Gentiloni avesse affidato l’avvio delle iniziative ad un Ministro dell’Interno anziché al Ministro degli Esteri od a quello della Difesa. C’è’ però da considerare da un lato come per precedenti esperienze Minniti abbia maturato competenza in tutti i tre settori. In secondo luogo poi il fatto sancisce quanto siano divenute irrilevanti la distinzione fra Interno ed Esteri e quella fra Interno e Difesa nel momento in cui i medesimi gruppi estremisti mettono in pericolo la nostra sicurezza tanto all’interno quanto all’esterno del paese. Infine bisogna prender atto impietosamente di come il fenomeno migrazioni non sia gestito soltanto dagli scafisti libici e da chi li manovra. Esso si avvale invece di ramificate complicità criminali internazionali come dimostra il costante rifornimento di gommoni che giungono in Libia dall’Asia ed il coinvolgimento di larghe fasce della criminalità organizzata nostrana coinvolte anche esse in un business rivelatosi troppo lucroso perché vi si possa rinunciare.

Nel corso della  sua recente missione Minniti e’ giunto a Tripoli pretendendo da un lato e dall’altro offrendo. Egli ha infatti per prima cosa richiesto una decisa azione di controllo delle partenze da parte dell’esecutivo Serraj. La maggior parte dei migranti si imbarca infatti nel tratto di costa libica almeno in teoria controllato da quel Governo. Oltre a sottolineare la persistente validità di quanto sancito dai precedenti accordi con la Libia in materia  di riammissione, il nostro Ministro dell’Interno ha poi richiesto la apertura delle acque nazionali libiche ad una cooperazione fra la Guardia Costiera di Tripoli e la missione navale europea Frontex, sino ad oggi rimasta confinata alle acque internazionali. Con il risultato di rivelarsi preziosa per il soccorso in mare ma del tutto inadeguata al respingimento dei migranti.

In cambio del consenso, alla Libia sono stati offerti quei mezzi navali  ed il relativo supporto addestrativo che consentirebbero alla sua Guardia Costiera un deciso salto di qualità. Dovrebbero inoltre essere riprese in esame per una eventuale attualizzazione  le compensazioni italiane di vario tipo che i precedenti trattati prevedevano per la Libia.

E’ ovvio come una mossa del genere nei riguardi del Governo di Tripoli possa aver accresciuto quel malcontento del Governo di Tobruk nei nostri riguardi che il Generale Haftar non aveva esitato ad esprimere in una sua recente intervista ad un quotidiano italiano. Un punto che potrà risultare fortemente condizionante qualora i moti di oggi a Tripoli si rivelassero domani come ispirati dal Generale Haftar, un’altra ipotesi che in questo momento non si può scartare. Non si poteva però assolutamente perdurare in un immobilismo di attesa che non faceva altro che peggiorare una situazione già grave. Bisognava muoversi, affrontando con decisione il problema prima che peggiorasse ulteriormente ed è logico il fatto che il Governo Gentiloni abbia agito con coerenza politica rivolgendosi in primo luogo alla parte cui riconosciamo una legittimità internazionale. Ciò non toglie che, anche se domani il Governo Serraj cadesse travolto da gravi episodi insurrezionali come quelli di oggi, l’Italia dovrebbe egualmente continuare mediare per una soluzione di compromesso fra tutte le parti che riporti la Libia ad unità. Si tratta comunque di un risultato troppo articolato e complesso per essere conseguito con le nostre sole capacita nazionali , anche se esso è probabilmente alla portata della potenzialità europea.  Da parte nostra quanto possiamo fare e’ quindi tentare di costringere gli altri stati dell’Europa a mantenere la loro attenzione concentrata su questo settore, non permettendo loro né di considerare il problema libico e quello dei migranti come problemi unicamente italiani, come hanno tendenza a fare i paesi del centro e nord Europa, né di seguire su questo scacchiere politiche nazionali che possano  risultare in contrasto con la linea comune della Unione, una tentazione cui non è aliena una Francia che non vuol capire come l’antica “grandeur” sia ormai definitivamente sparita.

Articolo pubblicato su La Stampa.

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