Un brulicare infinito di milioni di persone. E un movimento continuo di tonnellate di merci. Dove? In Asia. L’area più trafficata del mondo, a rischio costante di congestione. Di fronte a questo scenario vorticoso è in atto una sfida infrastrutturale epocale.
Diamo i numeri. Una stima dell’Asian Development Bank rivela che ogni giorno la congestione del traffico dei Paesi asiatici produce una perdita continentale di quasi il 5% del prodotto interno lordo, mentre una ricerca del Mizuho Financial Group prevede che la stessa area avrà bisogno di investimenti in infrastrutture pari a 6,5 mila miliardi di dollari entro il 2020. E almeno il 37% di questa somma enorme servirà per implementare il settore elettrico in Asia orientale e sud-orientale, con la sola Indonesia, tanto per fare un nome, che dai 46mila megawatt di capacità potenziale del 2013 dovrà sommarne altri 35mila nel 2019. Per non parlare della rete ferroviaria urbana di otto Paesi asiatici del sud-sud-est che sarà quadruplicata per il 2030. Con la Tailandia che ha allo studio quattro progetti ferroviari del valore di quasi 9 miliardi di dollari e con l’India che studia nuove ferrovie in una decina di sue città. Insomma, nel complesso, parliamo di un giro d’affari – e relativi costi – da capogiro. Con gli esperti che valutano la disponibilità finanziaria degli istituti continentali specializzati – dalla Banca asiatica di investimento per le infrastrutture alla già citata ADB fino alla New development Bank of BRICS, eccetera – ferma a meno del 5% del reale fabbisogno per la realizzazione delle infrastrutture necessarie.
Così, nonostante il preoccupante rallentamento dell’economia cinese, nei prossimi 10-15 anni, l’area asiatica e la sua necessaria crescita infrastrutturale sarà uno dei punti centrali del business mondiale, con un’attrazione di imprese e capitali stranieri senza precedenti. Perciò, fin d’ora, queste economie emergenti hanno la necessità di rintracciare fondi in tempi brevi e una delle strade migliori è sensibilizzare l’attenzione pubblica sulle opere in via di definizione come il ponte che collega Hong Kong a Macao.
Con i suoi 50 chilometri si tratta infatti del ponte più lungo al mondo, con isole artificiali, sopraelevate e tunnel sott’acqua. Salvo imprevisti (tipo isole artificiali che si squagliano, come peraltro è già successo), dovrebbe essere finito nel 2017 e complessivamente si svilupperà dall’estuario del fiume delle Perle fino alla terraferma cinese della città di Zhuhai e sarà l’unica alternativa via terra al collegamento tra Hong Kong e Cina (direzione Shenzhen).
D’altronde che l’Asia non possa che crescere è dettato da motivi semplici: demografia molto giovane, bassi debiti di bilancio e poche falle nella sanità, mentre in Europa abbiamo sistemi pensionistici che fanno acqua e cure sanitarie alle stelle (per la presenza di troppi anziani e immigrati). Oltre a ciò, l’Asia non ha tutti i vincoli europei sul mercato del lavoro e ormai sono i migliori anche nel sistema educativo mondiale. E gli asiatici, soprattutto, sono tanti – 3 miliardi di esseri umani! – e fanno mercato a sé: un mercato chiuso e con grandi volumi.
Quindi, senza tanti giri di parole, il confronto tra Occidente e Asia è impietoso. In Occidente – Stati Uniti compresi – le politiche fiscali di stimolo alla domanda si traducono in aumento della spesa pubblica. Invece i Paesi asiatici non hanno questo problema perché la loro crescita è soddisfatta dalla produzione interna. E contano pure su un surplus di risparmio, in primis Giappone e Cina.
Perciò cosa dobbiamo aspettarci? Semplice! Prepariamoci a vedere in Asia le opere più belle, i ponti più colossali e geniali, le dighe più importanti e i grattacieli più alti; e da lì verranno anche i grandi architetti del mondo.
In sintesi, l’Asia rappresenta la nuova frontiera delle infrastrutture mondiali. E la domanda interessante da porsi è: chi potrà godere dello sviluppo infrastrutturale asiatico? Soprattutto ne godranno i Paesi di America Latina e Africa che hanno vissuto di forniture – anche di materie prime – verso l’Asia.
Dinanzi a questo business colossale, prepariamoci anche a un nuovo scenario. Nell’ultimo rapporto del World Economic Forum sulla situazione competitiva mondiale, in cui l’indice globale comprende l’analisi di 140 paesi, si registra Indonesia al 62esimo posto, Filippine al 90esimo e Myanmar al 134esimo. L’indice principale del rapporto è il Growth Competitiveness Index (GCI), che misura il potenziale di crescita delle nazioni, mentre un altro indice è il Business Competitiveness Index (BCI), che misura l’attuale performance produttiva delle imprese. Nelle prime tre posizioni della classifica troviamo Svizzera, Singapore e Stati Uniti (l’Italia è 43esima). Oggi, come abbiamo premesso all’inizio, le diverse economie asiatiche sono ostacolate nella loro crescita dalla carenza di infrastrutture. Non stando però con le mani in mano, molti dei Paesi asiatici nei prossimi anni scaleranno questa classifica come il miglior Pantani sulle mitiche salite del Tour.
In conclusione, la nuova Via della Seta – marittima e terrestre – porterà a breve una grandissima ondata di costruzioni e una relativa spinta pazzesca allo sviluppo economico continentale perché in Asia c’è il futuro delle infrastrutture, il futuro dell’architettura e c’è, in parte, anche il futuro della scienza. Aspettiamoci grandi numeri. Mentre noi stiamo a guardare.
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