L’embargo sui processori più avanzati punta a rendere obsoleta la tecnologia militare di Pechino
II vero fronte incandescente della Guerra semifredda tra Cina e Stati Uniti (col neghittoso sostegno dell’Europa) non sono i palloni spia, bensì i semiconduttori.
I dazi decretati da Trump avevano gettato qualche manciata di sabbia negli ingranaggi dell’export cinese, ma senza infliggere danni sostanziali.
Tra il 2016 e il 2021 le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti erano salite da 462 a 506 miliardi di dollari, mentre il deficit americano nel commercio di beni con la Cina era aumentato da 247 a 355 miliardi, nonostante pandemia, lockdown, colli di bottiglia nella logistica, marasma nei porti. In sostanza una drole de guerre commerciale.
L’attacco veramente devastante, invece, l’ha sferrato il 7 ottobre 2022 il dipartimento del Commercio Usa, con tre bordate: a) restrizioni draconiane sull’export in Cina dei microchip di dimensioni inferiori a 28nm e delle Gpu (graphics processing unit) di ultima generazione (come quelle di Nvidia) che ingigantiscono le capacità di calcolo; b) divieto di vendita a imprese cinesi di strumenti per la produzione di queste componenti elettroniche avanzate; c) proibizione a cittadini e residenti americani di lavorare per l’hi-tech cinese.
Aggirare le sanzioni non sarà agevole, in quanto si applicano alle aziende di tutto il mondo che impiegano tecnologie statunitensi. Quelle poche che potrebbero sottrarsi alla stretta, come l’olandese Asml o la giapponese Tokyo Electron, a gennaio si sono inchinate ai desiderata di Washington. Un imprenditore sino-americano in un tweet ha riassunto gli effetti: per i produttori cinesi di microchip si profila «un’annientamento» e «la decapitazione dell’intero settore». Del resto è proprio questo l’intento dichiarato dal Governo Usa. La Cina consuma oltre il 75% dei semiconduttori venduti a livello globale, ma conta per un modesto 15% della produzione mondiale: di conseguenza l’embargo colpisce al cuore e mutila l’intera economia cinese.
Prendiamo ad esempio la fotolitografia, tallone di Achille delle ambizioni di Pechino. Senza la tecnologia della Asml, Smic, il leader cinese nei microchip (destinati in prevalenza ad auto e smartphone), finirà stritolata nella competizione globale. Infatti è ipotizzabile, ottimisticamente, che in 5 anni possa produrre i chip da 28 nm con risorse esclusivamente nazionali. Ma con l’embargo il traguardo si sposterà verso il 2030, quando i chip da 28 nm saranno di gran lunga obsoleti. Già oggi la frontiera sono chip da 7 nm, nel 2023 usciranno da Taiwan microchip da 4nm e Samsung prevede di sfornare microchip da 1,4nm nel 2027. In definitiva in pochi anni tutta l’industria cinese sarà irrimediabilmente arretrata, e con essa e l’apparato militare.
Infatti, i microchip sono cruciali per l’intelligenza artificiale che guiderà artiglieria, missili e droni in base a informazioni istantanee raccolte da satelliti e altri apparati di sorveglianza. La vittoria sul campo dipenderà dalla velocità con cui l’intelligenza artificiale processerà i giganteschi database per neutralizzare le difese nemiche. Avere microchip e Gpu più avanzate conferisce una superiorità militare paragonabile a quella di Cortez sugli indios. Sintetizzando, l’embargo segna l’inizio della guerra su Taiwan. Gli americani hanno compreso che per far desistere Xi dai piani di invasione devono renderne incerto l’esito o insostenibile il costo. E quindi giocano d’anticipo. A Pechino l’allarme rosso è scattato fragorosamente. Una volta sbaragliato il dissenso interno nel Congresso del Pcc, Xi Jinping ha abbandonato la retorica oltranzista ostentata e intensificata negli anni con il contorno di provocazioni, minacce e ritorsioni a Paesi come Lituania, Australia, Corea, Giappone, Filippine per non parlare di Taiwan.
Tuttavia il dietrofront conciliatorio di Xi non indurrà l’America e i suoi alleati all’indulgenza. Anzi, già si intravedono i prossimi fronti della Guerra semifredda.
Gli Usa stanno compilando la lista nera di altri settori da sottoporre ad embargo, con in cima il biotech, dove la Cina (fallito l’hackeraggio delle industrie occidentali) sui vaccini anti-Covid ha subito un’umiliazione planetaria.
In conclusione, l’America, per quanto de-industrializzata, incapace di produrre mascherine o rimpiazzare rapidamente armi (e munizioni) inviate a Volodymyr Zelensky, sul piano tecnologico e militare vanta una superiorità schiacciante per imporre globalmente i suoi voleri. Xi, sull’onda dei successi passati, si era illuso di poter sconvolgere l’ordine mondiale. La realtà presenterà un conto salato alla sua vanagloria.
L’Articolo scritto a 4 mani da Alberto Forchielli e Fabio Scacciavillani e pubblicato su Il Sole 24 Ore, 14 Marzo 2023
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