Mi chiedono di inquadrare l’economia dell’Emilia-Romagna confrontandola con l’andamento del mondo globalizzato. Eccomi. In regione facciamo i fighetti perché pensiamo che tutti vengano a investire da noi, con Ferrari e Technogym che vanno in Borsa ma con il Pil regionale che resta piantato all’1% come un paletto d’ombrellone in riviera a Ferragosto. Direte voi: ma qui si fa innovazione! Sì, ma non è abbastanza perché i veri poli dell’innovazione sono altrove.
A livello economico mondiale si prefigura una stagnazione secolare. Per non parlare di tensioni geopolitiche e riscaldamento globale. Dinanzi a un tale scenario, l’unico segnale positivo a livello planetario è, per l’appunto, l’innovazione. Nello specifico, per non essere frainteso, per innovazione intendo biotecnologia e genetica, l’internet delle cose, l’intelligenza artificiale, l’economia condivisa di Uber e Airbnb, i nuovi materiali compositi, robotica, fintech e ancora il live streaming, i big data, stampa in 3D, energie rinnovabili ed energy storage, i droni e i nano-materiali.
Mentre i poli davvero innovativi sono Boston, Silicon Valley, Berlino, Tel Aviv, Shenzhen in Cina, dove, per esempio, quattro ragazzini sono diventati stramiliardari in dollari producendo droni. In queste città l’economia tira di brutto, la ricchezza è smisurata e, soprattutto, è collettiva perché l’investimento in tecnologia si trascina dietro anche le altri componenti dell’investimento tradizionale: dall’alberghiero ai servizi.
L’innovazione sorge e si sviluppa in comunità urbane con grandi università, centri di ricerca e ricchi investitori. Non a caso la Silicon Valley è nata vicino a Stanford e Università della California (con il supporto di aziende come Intel, HP, EA e Tesla tra le tante). E non è un caso che Kendall Square (Cambidge, USA) sia diventata un centro globale di innovazione in farmaceutica e biotecnologie trovandosi a pochi km da MIT e Harvard Medical School (centro anch’esso cresciuto con i grandi investimenti delle compagnie farmaceutiche come Novartis).
Queste sono informazioni note ma forse non sapete che la crescita dell’innovazione in Cina è pazzesca, con il governo che, nonostante stia già supportando 780 fondi di venture capital con un capitale totale di 330 miliardi di dollari, ha recentemente annunciato la creazione di un nuovo fondo di venture capital da 30 miliardi di dollari.
Noi, da Piacenza a Rimini, ci immaginiamo ancora la Cina come la terra della manifattura di bassa qualità e a basso costo ma in realtà è già diventata da anni una centrale di innovazione. E nel 2014 le industrie di Shenzhen hanno investito 21 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo, il 53% in più rispetto al 2011. In Emilia-Romagna quanto hanno investito le aziende in ricerca e sviluppo? Lasciamo perdere che ci viene da piangere.
Parliamo tanto di industria 4.0, l’internet della manifattura, ma già accusiamo un ritardo spaventoso rispetto al resto del mondo. General Electric, tanto per fare un esempio, ha iniziato questo processo di transizione dal manufacturing al software 15 anni fa, nel 4.0. Ha fatto $ 6 miliardi di fatturato nel 2015 pensa di arrivare a $ 15 miliardi nel 2020. Dubito che la migliore delle nostre aziende abbia superato i € 50 milioni o il 4/5 % del fatturato. Questo ritardo nell’agganciare l’internet dell’industria, nonostante tutte le chiacchiere nostrane, rischia di diventare per noi quello che l’internet fu nel 1995 la fine dell’elettronica giapponese con tutti i grandi marchi venduti e falliti e l’emergere di Samsung ed LG in Korea e di una miriade di concorrenti Cinesi.
Ma non è solo questione di investimenti. È soprattutto una questione di mentalità. Quando sei a tavola a Boston e a Shenzhen si parla di futuro, a tavola a Bologna si parla di quanto costa l’ombrellone a Milano Marittima. Siamo troppo provinciali e ci autoincensiamo senza motivo. Okay, in regione va meglio che in altre zone d’Italia ma non è abbastanza per competere a livello globale. In Cina, come testimoniano i numeri, ci fanno neri.
Perciò fidatevi del sottoscritto. La differenza tra noi è il mondo che vola si percepisce anche solo nelle conversazioni a tavola tra Bologna, Boston e Shenzhen. Ci consola un fatto. Almeno nei nostri piatti ci sono i tortellini.
Pubblicato su Corriere Imprese, 07/11/2016
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