In questi giorni è un dovere ricordare i nostri cari. In onore di Paolo Forchielli. Fonte: “Nikolajewka: c’ero anch’io” a cura di Giulio Bedeschi.
Tenente Paolo Forchielli
33ª Batteria, Gruppo Bergamo, 2^ Reggimento Artiglieria Alpina
Difficile, se non impossibile, ricostruire la lunga, terribile notte di Arnautowo. E ciò non tanto per il tempo trascorso quanto perché le circostanze ed il mio stato d’animo solo in parte mi consentirono di cogliere la successione di quei tragici eventi. Giungere in un borgo di poche case, collocate ai margini della strada con dietro l’infinita neve russa; giungervi sul fare della notte dopo un’estenuante marcia iniziata nel cuore della notte precedente; infilarsi nella prima isba che si profila al fianco del proprio reparto; divorare qualche patata bollita e forse anche un pezzo di pollo (miracolo di volontà e di organizzazione dei nostri meravigliosi artiglieri) e addormentarsi sfinito nel tepore amico dell’isba, per essere risvegliato qualche ora dopo da colpi di mitragliera e dalla concitata notizia “reparti russi stanno attaccando”. Uscire precipitosamente dall’isba senza neppure indossare la giubba a vento sotto la pelliccia e lasciando zaino e sacco a pelo: tutto congiurava contro la possibilità di rendersi conto, senza la minima conoscenza del luogo (mai osservato di giorno) della reale situazione, della direttrice di marcia dei russi, dei punti di maggiore pericolo e delle concrete possibilità di rendersi utili o di mettersi al riparo, noi dello “scaglione munizioni” senza dirette responsabilità ai pezzi e alle mitragliatrici. Provai tuttavia, poco dopo, uscito dall’isba, a rendermi personalmente conto della situazione. Feci qualche passo avanti in direzione di Nikolajewka e mi affacciai prudentemente sul lieve pendio. Qualche sibilo acuto mi convinse che era meglio rinunciare e questa fu la mia prima fortuna di quella notte. Mi ero appena girato verso le case di Arnautowo che una pallottola incredibilmente benevola mi passò tra il pollice e l’indice della mano sinistra, ferendomi in modo non grave tanto alla mano quanto alla coscia sinistra. Sebbene non lo ricordi esattamente, debbo avere trovato chi mi indicò l’improvvisata infermeria, perché mi ritrovai in un’isba alla presenza del medico Capacci che mi medicò. Non so quanto mi trattenni nell’isba, già ricolma di feriti doloranti e dove, se ben ricordo, si trovavano già gravemente feriti il tenente Capriata ed il tenente Panazza. So solo che, una volta superato il primo trauma, con la coscia e la mano doloranti e con l’incoraggiamento del medico Capacci, uscii e mi ritrovai di nuovo nel sinistro chiarore notturno, sempre interrotto da colpi di mortaio e di mitraglia. Non era, neppure questa, la condizione migliore per avere idee chiare della situazione. Ricordo i due pezzi allo scoperto orientati a zero contro i russi; ricordo l’altro pezzo, piazzato sul fianco, tra le case; ricordo i mitraglieri piazzati ventre a terra sulla neve gelata accanto ai pezzi, e ricordo la difficoltà di mantenere le mitragliatrici efficienti mediante la sostituzione di canne gelate con altre che venivano riscaldate a cura di volonterosi. Ricordo due idee fisse che, in quella interminabile notte, si accavallavano nella mia mente, anche se la tragicità della prima non era certo paragonabile alla relativa importanza della seconda. Quando arriverà il grosso da Nikitowka? Arriverà pure una buona volta! O attaccheranno di nuovo i russi? Intanto le ore passavano e si avvertiva che l’alba doveva essere ormai prossima. Finalmente (albeggiava) vidi spuntare sul costone verso Nikitowka un gruppo di alpini con in testa il maggiore Maccagno, comandante del Battaglione Tiràno. Con una buona dose d’incoscienza – giacché il fuoco dei russi si era, per ovvie ragioni, fatto di nuovo intensissimo – corsi verso il maggiore Maccagno. “Dove sono, dove sono?” mi chiese. “Sono li”, risposi, indicando il lieve declino in direzione di Nikolajewka. Dopo di che corsi a rifugiarmi dietro lo scudo di uno dei nostri pezzi. Qualche minuto dopo vidi gli alpini della 45ª del Tiràno andare senza indugio (in piedi!) all’attacco. Ricordo innanzi a loro, nitida, la sagoma spavalda del tenente Soncelli col mitra puntato verso il nemico (tutti o quasi tutti eroicamente morti un attimo dopo, così come successivamente un nucleo del reparto comando del nostro reggimento, al comando del capitano Albera). Il fuoco infuria. Dopo qualche tempo (minuti, attimi?) avverto uno schianto colossale alla schiena. Ho la sensazione di non essere più in possesso della spalla destra e rifletto “questa volta è fatta”. E invece, dopo aver esitato a muovermi qualche attimo per il terrore di constatare la mia impotenza, provo a muovermi e mi rendo conto di avere la forza di farlo, magari carponi. Mi ritrovo così, per la seconda volta nell’isbainfermeria, ormai traboccante di feriti, e di morti. Mi accoglie, anche questa volta, l’umano sorriso del medico Capacci. “Questa volta non c’è niente da fare” gli dico e invece… anche questa volta posso rendermi conto della mia incredibile fortuna: una scheggia di modeste proporzioni riposa, senza grave danno, nel polmone.
Con un febbrone addosso mi addormento. Ma non credo di avere dormito per molto. Vinta, con enorme sacrificio, la resistenza di Arnautowo, il cammino deve inesorabilmente riprendere verso Nikolajewka. Nella luce incerta del mattino, riparto così, seduto nella slitta tra il capo di Capriata ed il capo di Panazza (e con l’attendente Amadei ad un passo). Ho le lacrime agli occhi per la morte del carissimo sottotenente Mazzaggio, appena comunicatami. Percorrendo il primo tratto della strada verso Nikolajewka ho modo di vedere quanti russi è costata la terribile notte. Arnautowo, un nome modesto rispetto a quello di Nikolajewka, ma un nome di fuoco per la mia 33ª e per i suoi eroici caduti. Se la sosta, forse casuale, della 33ª, del reparto munizioni e viveri e di altri nuclei minori non avesse impedito ai russi di attestarsi sul costone sovrastante Nikitowka (ove riposava il grosso della Tridentina) quante probabilità sarebbero esistite per la risolutiva giornata di Nikolajewka?
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