È passato un anno dall’“appunto volante di vita terrena” dove Alberto Forchielli svelava agli Oblòghisti “Le tre inculate del secolo da evitare”. Il Califfo, al primo posto, si raccomandava così. “Non usate i soldi di vostro padre, oppure, padri non usate i soldi dei vostri nonni, per aprire un ristorante. Soprattutto se ve lo propone uno chef stellato. Stateci alla larga. Loro diventeranno ricchi o ancora più ricchi e voi salterete in aria e ingrasserete 40 chili. Dovrete assaggiare tutto e rischierete la salute. L’unica possibilità è tenere in mano la cassa. Apritelo soltanto se avete intenzione di lavorarci dentro, tenendo sotto controllo ogni genere di spesa. A quel punto però vi costerà un botto, gli impegni saranno totalizzanti con i margini che non saranno all’altezza di un impegno simile.”
L’aspetto negativo, dicevamo quella volta, è quindi legato ai troppi rischi per utili non all’altezza. “Ma il vero aspetto negativo – aggiungeva il nostro eroe – è che una volta che hai aperto e ci rimetti i soldi oppure, ancora peggio, quando sei già saltato in aria e hai buttato nel cesso denaro, tempo e salute, questi stracciacazzi di chef ti perseguiteranno tutta la vita per spiegarti perché l’operazione non è andata a buon fine e sarà proprio l’aspetto più infernale di tutta l’operazione. Molto meglio confessarsi e recitare dei rosari dalla mattina alla sera.”
Questo è quanto. Fino all’altro giorno, quando Forchielli ha messo su Facebook un post sull’importanza di agricoltura, turismo e alimentazione. “Sono i più importanti argomenti di soft-power che abbiamo, dovunque il cibo italiano venga provato batte qualunque altro tipo di cibo. Basta vedere il tasso di penetrazione dei ristoranti italiani nel mondo.”
Insomma, Forchielli ha elaborato una analisi approfondita che suona così: italiani, aprite un ristorante all’estero.
Alberto, sei peggio di un politico nostrano, prima la ristorazione è l’inculata del secolo e poi diventa un business della Madonna? Deciditi?!? “Soccia Herpes se mi stai addosso. Sei sulla schiena del buratello. Da romagnolo acquisito, almeno lo sai cos’è il ‘buratello’?”
C’è chi dice che è l’anguilla ma ho sentito qualcuno dire che è l’asino… “Ma che romagnolo sei? Fritto misto del canale: tzìvoli, aquadel, paganel, buradel, gôb e gubàt. Invece ti confermo quello che avevo detto a suo tempo. Mai dare i soldi a un cuoco. Non uscite vivi se li date a Cracco e compagnia bella. Però fare l’imprenditore nella ristorazione italiana nel mondo va bene.”
Sì, però avevi detto che ci sono troppi rischi per utili non all’altezza! “Mettiamola così. Se avete la possibilità di fare una start up come Mondogoal, che vi costa 2 milioni di dollari e due anni dopo ve ne offrono 20 per vendere, non vale la pena di aprire un ristorante. Se Mondogoal non fa per voi, il ristorante in Cina è una valida alternativa per fare l’imprenditore. E se siete davvero bravi, fatevi dare voi i soldi da un cinese per aprire il ristorante là. E l’inculata del secolo gliela date voi a lui con il nero che vi mettete in tasca a sua insaputa.”
Va bene, mi hai convinto. Tutto fila. Vuoi approfondire il discorso della ristorazione italiana all’estero? “Vivo da sempre tra Stati Uniti e Asia e ho trascorso diverso tempo anche in Germania e quando si va a cena è difficile non mangiare italiano. Per definizione in Germania si va in un ristorante italiano, in America la possibilità di andare a mangiare italiano è il 40-50%. In Cina i cinesi dopo il loro cibo apprezzano il nostro. Fino a un paio di anni fa a Shanghai c’erano solo stranieri nei ristoranti italiani, oggi sono quasi solo cinesi. Il fatto è che i cinesi girano, vanno in giro per il mondo, e lo faranno sempre più, e quando vanno fuori mangiano, fanno cinque pasti al giorno, uno deve essere cinese e nel resto si adattano alla cucina locale. Molto spesso fanno il giro d’Europa e viene fuori che l’italiano è il mangiare che più apprezzano; poi tornano a casa e vanno nei ristoranti italiani in Cina.”
Nel senso, più cresce questo processo di globalizzazione del consumatore sotto l’aspetto alimentare e più il cibo italiano è destinato ad avere successo… “Esatto. Le grandi catene americane hanno ingegnerizzato su larga scala i nostri migliori prodotti, Pizza Hut per la pizza e Starbucks per il caffè. Noi non siamo bravi sul mercato di massa ma abbiamo questa capacità individuale di andare fuori, aprire ristoranti e perseguire l’eccellenza. Le specialty vengono ‘tirate’ dai nostri ristoranti. Man mano che il ristorante si afferma allora il cibo italiano arriva sui tavoli. Ormai nei ristoranti italiani all’estero sembra di essere a Roma, olio extra vergine, prodotti freschi italiani. Questo, un po’ alla volta, ti fa abituare al prodotto italiano e da lì, il passo per trovarli nei supermercati è molto corto. Negli Stati Uniti tutti i supermercati hanno delle intere aree di specialty italiano e la specialty italiana cresce a un rapporto di 2-3 volte la crescita del settore alimentare nel paese, questo anche in Cina, soprattutto però nei ristoranti per stranieri e molto internazionali.”
In Cina però non ci sono ristoranti dappertutto… “È per questo che le possibilità di crescere sono enormi. Dovremo mandare ragazzi all’estero che aprano ristoranti e educhino i clienti a mangiare italiano. La fine di questo ciclo si inizia a intravedere quando il consumatore inizia a pensare di fare a casa quello che mangia al ristorante. Negli Stati Uniti ora è così, si cucina italiano a casa, non si mangia più italiano solo al ristorante. Se arriviamo fin lì anche in Cina il processo di crescita può essere pazzesco. Cuochi e pizzaioli hanno tutte le strade aperte. Non ci si può aspettare nulla da parte del sistema (su protocolli e certificazioni le istituzioni possono avere un ruolo e fare la differenza) ma singolarmente o in piccoli gruppi oppure in consorzi, però dal basso verso l’alto, non gestiti a livello pubblico. Io sono un grande mangiatore anche se non sono un gran esperto di cucina. Però ricevo ospiti internazionali da una quarantina di anni e vado a mangiare fuori con loro sia a casa mia che nei ristoranti, in Italia e all’estero e il cibo italiano è irraggiungibile: paste, tortellini, ravioli, prosciutto, mortadella, parmigiano, olio, non c’è limite a quanto potremmo crescere però ci vuole la distribuzione, serve lo standard per entrare nelle grandi catene, e poi bisognerebbe anche aiutare il turnover delle grandi catene, servirebbero investimenti e molta pazienza ma lo spazio c’è.”
Cercasi finanziatore cinese per aprire ristorante italiano in Cina…
Forchielli intervistato da Michele Mengoli per Oblòg (22 Giugno 2015)
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