L’eccesso di risparmio artificialmente accumulato per assecondare le frenesie neo-maoiste di Xi Jinping è l’effetto più vistoso della crisi di cui soffre la Cina. Per assorbire i colossali risparmi privati, intrappolati dalle restrizioni ai movimenti di capitali, si gonfiano scriteriatamente gli investimenti in capacità produttiva, infrastrutture e immobili. Al contrario, gli investimenti diretti dall’estero sono crollati, perché la Cina non offre più prospettive allentanti.
Anzi, chi può aggira i divieti e trasferisce i capitali ovunque possibili da Singapore a Dubai. La crisi ha inferto uno shock al reddito permanente deprimendo i consumi privati, alimentando la deflazione (che logora i bilanci aziendali) ed esacerbando la sovraproduzione che le aziende cercano di scaricare sui mercati esteri.
Pertanto, il surplus commerciale per il 2024 ha raggiunto l’incredibile cifra di 990 miliardi di dollari (di cui 105 nel solo mese di dicembre), infrangendo il precedente record di 838 miliardi di dollari stabilito nel 2022. Il surplus con gli Usa è aumentato del 23% dal 2018 (anno in cui hanno avuto effetto i primi dazi di Trump), mentre nello stesso periodo il surplus con l’Ue è raddoppiato a 250 miliardi. Questo record sarà probabilmente ricordato come il canto del cigno del modello di sviluppo incentrato sull’autarchia dal lato import e sul dumping aggressivo dal lato export.
L’amministrazione Trump sta mettendo a punto la strategia protezionistica contro la Cina a cui seguiranno analoghe misure di Unione europea e Paesi emergenti. I danni sull’economia cinese dipenderanno dall’intensità dei dazi, per ora aumentati solo di un modesto 10% che potrebbe essere assorbito senza scosse dirompenti.
Ma dazi Usa al 60% dimezzerebbero il tasso di crescita reale. Le ripercussioni di una tale crisi sull’occupazione e sulle condizioni economiche dalla popolazione diffonderebbero un malcontento dalle conseguenze politiche imprevedibili. Sui social l’annuncio che la crescita registrata nel 2024 è stata in linea con il trito simulacro del 5% ha attirato reazioni sarcastiche o addirittura critiche (molte delle quali eliminate dalla censura), a conferma che la gente nella propria esperienza quotidiana sente i morsi della crisi.
Crisi che sta per provocare nuovi smottamenti. Il prossimo anello della catena a saltare potrebbero essere le assicurazioni che hanno venduto ai risparmiatori strumenti garantiti quando i tassi di interesse in Cina erano attraenti, mentre nel resto del mondo ristagnavano prossimi allo zero. Orale assicurazioni fronteggiano serie difficoltà a mantenere le promesse perché i tassi di interesse, persino sui titoli di stato, sono precipitati. All’inizio del 2018 i tassi sulle obbligazioni a 10 anni emesse dal governo avevano superato il 4%. Oggi sono precipitati sotto il 1,7% dopo aver rotto la soglia del 2% all’inizio di dicembre. I tecnocrati della banca centrale cinese si trovano davanti ad un dilemma: svalutare lo yuan per sostenere le esportazioni, ma correndo il rischio di scatenare la reazione rabbiosa di Washington, oppure sperare che il governo vari il programma di stimoli ai consumi che da anni è il Godot della politica economica cinese. Apparentemente i tempi per una drastica svolta sembrano maturi.
Infatti, il ritorno in pubblico – in un Simposio tra Xi Jinping e i maggiori imprenditori – di Jack Ma, fondatore di AliBaba, dopo 4 anni di ostracismo imposti come punizione per aver blandamente criticato il regime – segnala che Xi Jinping tende la mano al settore privato (che contribuisce al 60% del Pil cinese e all’80% dell’occupazione). Negli anni scorsi gli imprenditori erano platealmente caduti in disgrazia nei santuari del potere rosso, intento ad imporre un sempre più soffocante controllo sulle imprese. Ma di fronte alla prospettiva di una feroce guerra commerciale con l’America il Partito Comunista nella chiamata alle armi ha coinvolto anche i nemici di ieri, in particolare i giganti del tech. Perché in un mondo ridiviso in blocchi, appropriarsi della proprietà intellettuale altrui sarà più arduo, e dunque, per non soccombere, sarà imperativo sviluppare capacità di innovazione all’interno.
Parafrasando la massima di Confucio a cui si ispirarono anche Mao e Deng, a Xi Jinping non importa il colore del chip, fintanto che faccia girare i sistemi più avanzati di Al e robotica.
L’Articolo scritto a 4 mani con Fabio Scacciavillani e pubblicato su Il Sole 24 Ore