Ragazzi, questa è roba forte e la stampa italiana, come spesso capita ormai da qualche tempo sulle questioni internazionali, non ne parla. Negli USA, il tema ricorrente nelle discussioni delle élite politiche non è (come invece si potrebbe immaginare) la vittoria di Trump o della Clinton – a questo punto piuttosto probabile – per le imminenti elezioni del prossimo presidente ma il desiderio – attenzione, bipartisan! – di un’accelerazione dell’interventismo nella politica estera della prossima amministrazione, qualunque essa sia, dopo che i mandati di Obama sono trascorsi nell’“indifferenza” per le questioni oltre-confine, specialmente nel Medio Oriente (soprattutto Siria) e anche verso il nemico storico per eccellenza: la Russia. Senza dimenticare la Cina. Tutto ciò mentre all’opinione pubblica e all’americano medio di quello che accade fuori dai propri confini nazionali continua a non fregare nulla, allontanando sempre di più la visione del bene comune tra il popolo e chi lo comanda.
Oggi, sia chiaro, agli USA non serve una guerra ma le mie fonti a Washington mi descrivono uno scenario di grande fibrillazione, con i falchi all’interno di Brookings, The Atlantic Council e Center for American Progress (tanto per non fare dei nomi),più agguerriti che mai. Un falco su tutti? Martin Indyk, già ambasciatore in Israele e assistente al Segretario di Stato per il Medio Oriente.
Come dicevo, agli USA non serve un’altra guerra. Ma la guerra, in certi ambienti statunitensi, viene vista come un’operazione molto più facile e forse anche molto più divertente rispetto al duro lavoro che occorrerebbe fare per risolvere realmente i problemi del Paese e quelli di geo-politica internazionale.
Però l’aspetto più sorprendente di tutta questa vicenda è che il vero falco non viene considerato Donald Trump ma bensì Hillary Clinton! Che in politica estera ha una visione aggressiva quanto quella di George W. Bush. Ed è forte del fatto che la maggior parte del Partito Democratico sarebbe riluttante a sfidarla cercando di frenare il suo interventismo.
A dirlo, oltre alle mie fonti (che in privato si spingono a considerazioni ben più forti), vi sono anche autorevolissimi editorialisti, come il reporter investigativo Robert Parryche su Consortium News scrive: “Fiduciosi in una vittoria di Hillary Clinton, le élitedi Washington stanno preparando i piani di guerra in Siria e possibili scontri con la Russia anche prevedendo l’utilizzo di armi nucleari”. E aggiunge: “L’unica opzionepotenziale per vincolare il falco Clinton sarebbe l’emergere di un’ala ‘pacifista’ del Partito Democratico, possibilmente in linea con i Repubblicani anti-interventisti. Ma questa possibilità resta problematica soprattutto perché i due schieramenti hannoimportanti divergenze politiche su una vasta gamma di altri argomenti”.
Gli fa eco David E. Sanger che sul New York Times del 20 ottobre titola: “Il falco sulla politica della Russia? Hillary Clinton, non Donald Trump”.
Insomma, non c’è da stare tranquilli. Con un ulteriore rammarico: il silenzio assordante della stampa italiana, concentrata sui vestiti di Hillary e Trump, sulla loro gestualità e su quanto si stiano ad insultare, invece di cogliere i veri aspetti decisivi per le sorti del pianeta. D’altronde non c’è da meravigliarsi. Non solo siamo fuori dai giochi che contano nello scacchiere internazionale, ma ormai non li seguiamo neppure da lontano.
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