Al convegno intitolato “Dove va l’Italia, dove va il mondo”, tenutosi lo scorso 14 settembre nella bella cornice bolognese di Palazzo De’ Toschi, hanno chiesto il mio parere sulla crescita. È moscia, ecco qual è stata la mia risposta. E l’ho argomentata così.
A livello mondiale siamo a cavallo tra il 2,5 e il 3 per cento. E nei tempi recenti questo valore non è mai stato tanto basso, poiché gran parte di questa percentuale è concentrata in Asia. Perciò se togliamo il continente asiatico, il resto del mondo cresce intorno all’1,5 per cento. L’America fa il 2. L’Europa varia dal’1 allo 0. Ossia poca roba.
Sono numeri che si spiegano in un modo solo: la Cina non tira più. Avvalorando la teoria che sta prendendo piede da un annetto circa: siamo di fronte a una stagnazione secolare.
Il problema è che abbiamo creato troppa capacità produttiva e il mondo ha ecceduto in tutto, dalle miniere ai pozzi petroliferi. Abbiamo sprecato tante risorse e, nel frattempo, andiamo incontro alla deflazione che insieme all’aumento dell’età della popolazione rappresentano aspetti notevolmente critici. Allora si può prevedere che con questo scenario l’attuale esagerata capacità produttiva sarà smaltita in un decennio.
L’“isola felice” c’è ed è rappresentata ancora una volta dall’Asia perché la popolazione nasce senza i debiti dei coetanei occidentali, che invece devono fare i conti con 2 o 3 pensionati ciascuno sulla schiena. A prescindere dalla loro religione, sono tutti animati dallo stesso comune denominatore: una “fame” bestiale, rivolta verso l’educazione come riscossa sociale, con il mantra dello “studia, studia, studia” ripetuto all’infinito. E già oggi tale riscontro è oggettivo: l’Asia è un’enorme fucina di scienza e scienziati. Non faranno più il 10% come ci hanno abituato nel passato, ma intorno al 5% ci torneranno a breve.
Nell’economia moderna, inoltre, va segnalato che vi sono alcune città che vanno a mille. Spingono enormemente sull’innovazione attraverso ecosistemi profondamente innovativi, con investimenti e ricchezze pressoché infinite, dove l’immobiliare tira tantissimo. Parlo di Boston, San Francisco, Minneapolis, Bangalore, Shenzhen, qualche altra città cinese e il triangolo tra Oxford, Cambridge e Londra. Qui l’innovazione è ai massimi.
Ed è proprio questo il tema principale della crescita nel mondo: l’innovazione. Soprattutto è il tema più positivo dinanzi a tante criticità che vanno dalle incertezze legate alle prossime elezioni americane al riscaldamento globale, dall’inquinamento al terrorismo islamico fino alle ondate migratorie. Mentre, per l’appunto, non esiste nessuna incertezza sul potere dell’innovazione.
Grazie alla biotecnologia tra 5 anni molto probabilmente inizieremo a curare l’Alzheimer e già oggi molti tumori si sconfiggono. Poi abbiamo l’intelligenza artificiale, ancora Internet, la share economy, l’Hospitality, la finanza online, il 3D, l’energia che adesso si può immagazzinare, eccetera, eccetera. Il mondo, attraverso l’innovazione, cambierà ancora e molto in fretta. Sicuramente diversi mestieri spariranno, magari gli avvocati non esisteranno più (mentre il futuro è garantito per i giardinieri). In ogni caso la positività del mondo che verrà è legata all’innovazione.
Perché il mondo si è fermato? Semplice. Perché si sono fermate due categorie sostanziali: quella dell’investitore cinese che non investe più e quella del consumatore americano che ha smesso di comprare. Su questo quadro si innesca l’aspetto della ridistribuzione, con i ricchi che non sanno più cosa acquistare e con i poveri che vorrebbero consumare ma hanno finito i soldi, così cresce la polarizzazione della ricchezza, con consumi non sufficienti ed eccesso di risparmio.
Poi i miei amici bolognesi mi hanno chiesto di parlare dell’Italia e mi sono rifiutato. Mi hanno tirato per la giacca e allora un paio di cose le ho dette. I paesi nel mondo globalizzato stanno in piedi in due modi: facendo cose che costano meno degli altri o facendo cose che gli altri non sanno fare. L’Italia, da decenni, non ha i costi più bassi ma nel frattempo non ha nemmeno più tante eccellenze. Quindi c’è poco da fare. In un contesto come il nostro la speranza sta nel riuscire a fare di Bologna, tanto per fare un esempio, un polo dell’innovazione. Non abbiamo altre possibilità. E dobbiamo incoraggiare i nostri giovani a rivolgere la loro attenzione ai settori innovativi.
Quando sono in Asia mi chiedono di parlare dell’America. Quando sono in America mi chiedono di parlare dell’Asia e dell’Europa. Nessuno vuole che parli dell’Italia. Sapete il motivo? Perché è un argomento che annoia. Odiano la nostra politica o come minimo non la capiscono. Non vedono cambiamenti. Pertanto per loro siamo noiosi.
Oppure siamo visti come un pericolo per il nostro debito pubblico.
O peggio ci danno per morti.
Così ogni volta che da noi c’è un minimo cambiamento (e Renzi in generale è visto bene all’estero), come il referendum o il Jobs act (che nessuno sa realmente cos’è ma almeno suona bene), è un grandissimo segnale positivo per i mercati. Semplicemente perché si sorprendono che siamo ancora vivi. E comunque il mondo, nonostante tutto, ama l’Italia. E sperano nella nostra sopravvivenza.
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