I nostri eccessi nel caso Regeni

Sempre più , ogni giorno che passa , quello che è ormai divenuto “il caso Regeni” sottolinea quanto grande possa essere la differenza fra paesi che , pur condividendo ufficialmente gli stessi valori , sono orientati per quanto riguarda la politica estera o verso una “realpolitik” che tenga conto più degli interessi che dei valori in gioco , oppure verso una politica che sia appunto una “politica dei valori” e che quindi ponga i valori davanti a tutto qualunque sia il costo di questa affermazione di principio.

Nella pratica gli esempi più evidenti dei due campi sono da un lato la Francia che chiude entrambi gli occhi su quanto e’ successo ad un cittadino di un altro paese UE a lei molto vicino per poter continuare i suoi lucrosi traffici con l’Egitto , centrati oltretutto su una colossale vendita di armamenti , dall’altro l’Italia che pur di ottenere giustizia sembra disposta a rinunciare ad una posizione particolarmente favorevole nel più grande paese del Mediterraneo arabo . Una posizione , tra l’altro  che  era frutto di decine d’anni di paziente e durissimo lavoro .

In mezzo , alla difficile ricerca di un equilibrio che consenta in pari tempo di non rinunciare ai propri principi senza peraltro espressamente condannare un regime la cui sopravvivenza è fondamentale per la stabilità di una intera area di grande interesse strategico , si stanno pian piano disponendo tutti gli altri paesi dell’Occidente .

Un risveglio di coscienza che si palesa pero’ con notevole ritardo rispetto all’accaduto e che ancora stenta a superare inerzie governative più o meno interessate

Così negli Stati Uniti e’ la stampa più impegnata a sollecitare una presa di posizione precisa da parte del governo , mentre in quell’ Inghilterra che pure dovrebbe sentirsi direttamente coinvolta poiché e’ stata una sua Università ad incaricare un cittadino italiano dell’indagine  sui sindacati egiziani –  scientifica quanto si vuole , ma palesemente non priva di rischi in quanto si svolgeva ai limiti della ricerca informativa – e’ stata addirittura necessaria una iniziativa popolare perché si avesse una prima e moderata presa di posizione ufficiale.

Noi italiani invece ci siamo sempre mossi in una condizione di pieno allineamento fra quello che era il sentimento collettivo del paese e l’azione del governo per cercare di giungere quanto prima possibile ad acclarare la verità di quanto accaduto. A tale scopo abbiamo cercato sin dall’inizio di seguire tutte le strade possibili , affiancando all’azione giudiziaria precise prese di posizione politiche che dovevano essere rese più’ credibili dalla definizione di ben definite scadenze e dalla prospettiva dell’adozione di eventuali misure punitive.

Se in qualche modo abbiamo peccato è stato probabilmente per eccesso .

Eccesso in tutto! Nella rapidità ad esempio in cui la missione commerciale guidata dal ministro Guidi ha abbandonato il Cairo rientrando in Italia più o meno nel momento stesso in cui è stato ritrovato il corpo della vittima . Un rientro che agli occhi dell’intera opinione pubblica mondiale e’ suonato immediatamente come una sentenza di condanna per l’Egitto , la dimostrazione di come esistessero prove che magari non si rendevano palesi subito ma che comunque portavano ad attribuire con sicurezza al governo di El Sisi la responsabilità di quanto accaduto.

Eccesso nel modo in cui la nostra stampa si è immediatamente scatenata a costruire ipotesi su ipotesi , basandosi spesso su dichiarazioni rilasciate da personaggi o troppo orientati in una precisa direzione , come i sindacalisti di opposizione che Regeni aveva intervistato nell’ultimo periodo della sua vita , o del tutto inattendibili , come l’ultima superstite della famiglia di banditi fra le cui cose , in un maldestro e tardivo tentativo di sviare l’indagine , erano stati inseriti i documenti del ricercatore italiano. Come sempre succede con i nostri misteri nazionali , questo iper attivismo mediatico ha finito col conseguire l ‘abituale risultato di porre a disposizione del pubblico decine di verità tutte egualmente possibili , rendendo di conseguenza difficilissimo pervenire all’unica verità vera.

Eccesso di semplificazione , allorché non abbiamo voluto tener conto di come il mistero fosse ben più fitto di quanto non fosse apparso a prima vista e di come rimanessero aperti degli interrogativi fondamentali che non avevano ancora ricevuto risposta , primo fra tutti quello relativo al perché il corpo di Regeni fosse stato ritrovato . Con un intero Sahara a disposizione perché abbandonare le povere spoglie ai margini di una strada di grande traffico , ove l’unica cosa di cui si poteva essere sicuri era un rapido ritrovamento? Allora si voleva che esse fossero reperite , e che fossero poi reperite nel preciso momento della visita Guidi , quando la cosa poteva fare più’ danno alle relazioni fra l’Italia e l’Egitto. O forse si mirava già , contando sulla reazione dell’Italia , ad ottenere una condanna internazionale del regime di El Sisi? Una impressione che è stata tra l’altro confermata dal documento anonimo pervenuto qualche tempo dopo al quotidiano La Repubblica che  con precisa scelta dei tempi veniva informata , giusto alla vigilia dell’arrivo a Roma della delegazione egiziana di alto livello destinata ad incontrare magistratura e polizia italiane , in merito ad una ricostruzione dei fatti chiaramente costruita su misura per coinvolgere nell’accaduto l’intera dirigenza egiziana. Il dossier non escludeva infatti nessuno , rimbalzando dalla Polizia di Giza al Ministero dell’Interno , da quello ai Servizi Generali , dal Muhabarat ai Servizi Militari , ed infine da quello al Presidente della Repubblica . Ovviamente contornato dal Gabinetto dei Ministri e dai suoi più fidati consiglieri , tutti coinvolti come lui nelle decisioni chiave della intera vicenda… Più di quanto necessario insomma per rendersi conto , qualora lo si fosse voluto capire , che il povero Regeni e la povera Italia venivano utilizzate come strumenti di una sfida politica senza esclusione di colpi che aveva come posta la sopravvivenza di Al Sisi e del suo regime.

Eccesso di ignoranza ….o forse di orgoglio …forse di entrambi , allorché abbiamo reagito con una mentalità nonché seguendo logiche e modi che erano soltanto europei , senza tenere in alcun conto la diversa cultura e sensibilità di chi ci stava di fronte. In altre parole ci siamo scatenati sin dal primo momento in un parossismo di accuse dure e dirette , formulate cioè in una maniera tale da non permettere al nostro interlocutore di effettuare la minima ammissione senza perdere completamente la faccia. Del resto questo e’ il modo in cui noi ci comportiamo ogni volta e che ci conduce con regolarità ad incassare scacchi cocenti senza volerne comprendere il perché . Si veda il caso Battisti , in cui abbiamo preteso con arroganza che egli venisse consegnato a quella stessa magistratura italiana che in quel momento lo stesso nostro Premier dell’epoca indicava a tutto il mondo come negativo esempio di partigianeria ed inefficienza . O quello dei due maro’ , ove non abbiamo voluto capire che l’India non poteva accettare una soluzione ufficiale in cui la dirigenza nazionale avrebbe perso la faccia davanti alla opinione pubblica nazionale. Con la conseguenza che abbiamo persa l’occasione informale che ci veniva offerta su un piatto di argento allorché i nostri due fucilieri rientrarono per la prima volta. Se noi li avessimo arrestati allora pretendendo di giudicarli innanzitutto qui in Italia , il caso sarebbe stato concluso. Magari con qualche protesta formale da parte dell’India ,ma di sicuro con grande sollievo di entrambi gli stati coinvolti.

Eccesso di velocità  nell’agire e nel decidere , tenuto conto di come ci si trovi nel cuore di una inchiesta giudiziaria estremamente complessa e delicata che investe non solo funzionari ed organismi di uno stato amico ma che presenta anche , come accennato in precedenza , aspetti che potrebbero far pensare a congiure di palazzo di altissimo livello. In queste condizioni come si può pretendere che il caso venga risolto in poche settimane ? E per di più in una maniera che deve assolutamente apparire soddisfacente alla nostra opinione pubblica ? Ma non siamo abituati noi stessi ad una magistratura che si prende abbondantemente i suoi tempi?  

Eccesso di reazione , considerate le misure che minacciamo di porre in atto. Sino ad ora , per fortuna , ci siamo limitatati al formale richiamo per consultazione del nostro Ambasciatore al Cairo , modo civile e quanto mai chiaro di significare un nostro scontento alla controparte . Ora però si cominciano a considerare con serietà altri possibili passi . Il primo e’ il cosiddetto “sconsiglio” dell’attività turistica ed in questo caso non si considera come una misura del genere colpirebbe non certo il governo e la classe dirigente ma piuttosto il popolo egiziano. I proventi del turismo hanno infatti la caratteristica quasi unica di disperdersi con immediatezza in milioni di tasche senza essere sottoposti ad alcun filtro …e che colpa può mai avere il popolo egiziano di quanto e’ successo a Regeni? Si parla poi anche di limitazioni da imporre alle relazioni  commerciali fra i due paesi ed in quel caso chi pensate che simili misure colpirebbero di più : l’Egitto , che può sempre ricorrere ad altri fornitori,  o l’Italia per cui l’aumento delle esportazioni appare come la via maestra per uscire dalla crisi?

Eccesso infine di sottovalutazione di quanto l’Egitto potrebbe fare se messo con le spalle al muro per rispondere alle nostre decisioni. Qui lo spettro delle possibilità si fa veramente ampio investendo anche problemi che per noi risultano particolarmente delicati. Si pensi , tanto per fare un paio di esempi , a quel che potrebbe succedere se il Cairo decidesse di insistere nel suo ruolo di sostegno al governo libico insediato a Tobruk , impedendo così di fatto quella ricostruzione del paese vicino che è indispensabile per disciplinare il flusso dei profughi verso il nostro paese. O se decidesse di iniziare anche egli la  “politica dei barconi ” , che tra l’altro il recente esempio della Turchia ha evidenziata come particolarmente redditizia. C’è da rabbrividire soltanto a pensarci!

E’ tempo dunque che la nostra linea di azione nel caso Regeni venga accuratamente rivista . Senza rinunciare ovviamente ad alcuno dei valori che ci caratterizzano ,  ma sapendo come agire nella dovuta maniera e senza porre colui che ci fronteggia in condizioni tali da rendere ogni soluzione impossibile. Non è quindi la sostanza della nostra azione che deve essere toccata : ogni Stato e’ tenuto a difendere la vita e la memoria dei propri cittadini ed a preservare , facendolo , non solo la sua ragion d’essere ma anche la propria dignità ! Le cose però possono essere portate avanti in cento modi diversi e non è affatto detto che quanto appare oggi più duro e più deciso possa effettivamente domani evidenziarsi come più efficace. Un buon livello di conoscenza e di comprensione reciproca , nonché di adattamento dell’uno all’altro , e’ poi indispensabile ogni volta che ci sono come in questo caso due culture diverse che si fronteggiano   , con conseguenti gravi difficoltà nel tenere in piedi  un dialogo corretto. In simili situazioni il ricorso alle minacce o agli ultimatum non può far altro che portare a stalli insuperabili , perpetuando rancori che sarebbe invece nell’interesse di tutti attenuare o far sparire quanto prima possibile.

Pensiamo a tutto questo , e pensiamoci bene , prima di continuare ad inanellare eccessi!

L’articolo è già stato pubblicato su Limes (Rivista italiana di geopolitica) il 20.04.2016

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