Parla l’economista ex World Bank, Iri e Finmeccanica, ora a Hong Kong: «Nel 2016, a livello globale, il commercio è cresciuto meno del Pil. Trump? Ha ragione, l’occidente deve ricucire con Putin. L’Europa? Sempre e comunque nei guai»
«C’è un dato sconvolgente di cui nessuno parla, Nel 2016 la crescita del commercio mondiale è stata inferiore alla crescita del Pil mondiale. Negli ultimi quarant’anni è successo solamente altre tre volte: nel 1982, nel 2001 e nel 2009. Altro che Trump, Putin, la Brexit, gli attentati delll’Isis: la vera notizia dell’anno, quella che cambierà le nostre vite, è questa». Conosce bene la globalizzazione, Alberto Forchielli. Dalla World Bank alla European Investiment Bank, da Finmeccanica all’Iri, si può dire che l’ha vista nascere. E ora, da Hong Kong, dove guida Mandarin Capital Partners, un fondo di private equity che crea collegamenti tra medie aziende europee e partner commerciali ed industriali cinesi, ne scorge l’embrione del tramonto. O comunque di una profonda metamorfosi. È il 31 dicembre, sono le sei di sera nell’ex colonia britannica. E l’anno appena iniziato secondo Forchielli, sarà un anno di grandi cambiamenti.
Che succede, Forchielli? Perché il commercio mondiale ha rallentato così tanto?
Nei fatti, succede senza che sia successo niente.
Prego?
Il reshoring, il ritorno a casa delle imprese occidentali dall’estremo oriente, è una balla colossale, nessuno ha messo tariffe. Eppure succede: le aziende stanno facendo più caute, nelle supply chain. C’è una tendenza a produrre più vicino. Ci si ritira dalla Cina, si chiude in Bangladesh e si portano le produzioni in Turchia e Marocco.
Come mai?
C’è indubbiamente un mutamento del rapporto con il cliente: c’è la necessità di produrre just in time, di ridurre drasticamente il magazzino, di cambiare prodotto ogni mese. Se il tuo modello di sviluppo è quello, la produzione non può stare troppo lontana dai mercati. Finisci per perdere tempo e occasioni. La prossimità ha riacquistato valore.
C’entra anche la politica? In molti considerano la vittoria di Trump come una minaccia per la globalizzazione…
Sinora è un processo squisitamente economico. La politica non c’entra nulla. Però nel 2016 sono falliti sia l’accordo transatlantico sia quello transpacifico, il Ttip e il Ttp. Ed è pure stato l’anno in cui alla Cina è stato negato lo status di economia di mercato. Il prossimo anno inizierà pure la rinegoziazione del Nafta, l’accordo commerciale tra Usa, Messico e Canada e sarà Trump a dirigere le danze. Diciamo che la politica spinge nella stessa direzione dell’economia. A sostenere la globalizzazione sono rimasti solo i cinesi.
Qualcosa deve pur voler dire…
Chi dice che la globalizzazione ha impoverito il pianeta dice una cazzata. A livello globale la classe media è aumentata moltissimo. Il problema è che buona parte di questa nuova classe media è cinese. Poi indiana, poi pachistana, poi vietnamita, eccetera. Da quando nel 2001 la Cina è entrata nel Wto il mondo è cambiato. In Asia hai la borghesia felice, sorrisi e ottimismo. L’America ha retto un po’, perché la tecnologia l’ha molto aiutata, ma poi è caduta su Trump. Per l’Europa è stata una botta mortale.
Poi ci torniamo, in Europa. Prima, però, parliamo della Cina. Il 2017 è l’anno del congresso del Partito Comunista. Chi succederà a Xi Jinping? C’è chi dice che a lui non dispiacerebbe rimanere…
Cazzate pure queste. Che lui voglia guidare la sua successione è vero. Ma è quasi impossibile possa rimanere. I cinesi non hanno la democrazia, ma nemmeno i dittatori. Da loro dopo cinque anni te ne vai a casa.
Anche la Cina si chiuderà in se stessa? In fondo ha in casa un mercato enorme…
No, la Cina non può fare quel che fa l’America.
Come mai?
Perché la Cina non ha nulla, deve comprare tutto tranne il carbone. Non ha nemmeno il mangime per i maiali. Però i cinesi non sono degli ottusi. Sanno che quest’onda di protezionismo è inevitabile. E agiranno di conseguenza.
Cioè? Che faranno?
Stanno già spostando i loro investimenti in Asia Centrale e nel Sud Est asiatico. Vogliono creare un’area di influenza enorme che arrivi fino alla Turchia e all’Iran, creando corridoi infrastrutturali di migliaia di chilometri. Attenzione, però: quando loro parlano della nuova via della seta non gliene frega niente dei collegamenti a punto a punto. È che lungo quelle strade nascerà uno sviluppo enorme. Ancora una volta, regionale. È lungo quei corridoi che la Cina vuole far nascere il suo sviluppo futuro.
L’Asia Centrale è anche sfera di influenza russa…
E infatti ci sono già oggi grandi frizioni tra Russia e Cina. Una forte presenza cinese in quell’area va a scapito delle pretese egemoniche della Russia, che però non ha i soldi per controbattere. Ma le frizioni non finiscono qua.
C’è altro?
C’è l’India, l’altra potenza regionale del sud est asiatico, che non vede di buon occhio l’espansione regionale cinese e che ha molti accordi con la Russia, da un punto di vista militare e nucleare. E poi c’è la pressione demografica cinese che vorrebbe scaricarsi in Siberia, un’area immensa e deserta. Il problema è che i russi non vogliono. Se vedono un cinese in Siberia, gli spaccano la testa. Non credete ai sorrisi e alle pacche sulle spalle tra Putin e Xi. Cinesi e russi non vanno per niente d’accordo. E non si fidano l’uno dell’altro.
E noi con chi stiamo? Coi russi o coi cinesi?
La Russia sarebbe il partner ideale dell’America, in chiave anti-cinese. Ma gli americani si sono fissati con questa idea della nuova guerra fredda…
Ha ragione Trump, quindi?
Trump avrà tutti i difetti del mondo, ma io ero più spaventato dalla politica anti-russa di Hillary. A Washington un sacco di gente vuole accordo con Mosca. A livello di opinione pubblica, però, Putin è demonizzato. La gente e i media non capiscono che un Paese come la Russia si può governare solo con gente come Putin, e con i suoi metodi.
Chi avrà la meglio?
Trump. Difficilmente le sanzioni alla Russia sopravviveranno nel 2017. Gli unici che le vogliono sono la Polonia e le repubbliche baltiche. Per gli altri, la Russia è vitale. Non producono nulla, comprano tutto. Col commercio mondiale in crisi, sono un mercato d’oro. Secondo me, un primo allentamento potrebbe esserci già nel G7 di maggio, a Taormina.
Potrebbe essere una buona notizia pure per l’Europa…
Sì, ma non illudiamoci. L’Europa non ha costi bassi, non ha tecnologia, ha un sacco di debito e di welfare, una pessima demografia e un mare di problemi con le migrazioni dall’Africa e dal Medio Oriente. Ormai i grandi poli di sviluppo sono altrove: Tel Aviv, Bangalore, Shenzhen, Pechino, Singapore, Boston, San Francisco. Fine. Shenzhen è la Silicon Valley della Cina. Lì si producono tutti i droni del mondo e hanno pure tutti i campus delle università cinesi. Noi non possiamo fare nulla. Non sappiamo fare niente meglio degli altri, né sappiamo fare cose diverse dagli altri. In più comandano i vecchi che sono predatori egoisti. Prendi Renzi: per vincere il referendum ha alzato le pensioni minime e stretto accordi coi dipendenti pubblici.
E ha perso comunque, però…
Perché nella difficoltà riaffiorano le contraddizioni di una vita. Sparita la generazione che ha visto la guerra, quelli che non l’hanno fatta non hanno la necessità impellente dell’Europa unita. E schiacciati da migrazioni, disoccupazione e povertà si rifugiano nei populismi perché vogliono tornare indietro. Una sciocchezza, sia chiaro: non è che possiamo riaprire la Lancia.
Quindi?
Quindi abbiamo due possibilità. O faremo come i paesi scandinavi, abbastanza ricchi da permettersi un reddito di cittadinanza che mitighi il problema del lavoro sostituito dall’automazione. Oppure ci toccherà a lavorare a cinquecento euro al mese. E se non ci saranno strumenti giuridici per farlo si sprofonderà nel nero, nelle maquilladoras alla messicana. Fossi in un giovane, me ne andrei prima possibile.
Alberto Forchielli intervistato da Francesco Cancellato per LINKIESTA
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Forchielli: «La nuova guerra fredda è quella tra Russia e Cina»
Alberto Forchielli2 Gennaio 20170
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