Forchielli: “Ercole Incalza l’ho conosciuto e adesso vi dico la mia.”

Alberto Forchielli è in giro da un pezzo, lo sappiamo. A Marco Polo, in Cina, gli ha fatto da guida lui, tanto per dire. Viveva a Singapore quando erano ancora tutti poveri (tranne lui). E prima ancora, quando era tornato in Italia, tra l’86 e il ’94, perché con Andreatta e Prodi pensava di poter dare una mano ad aggiustare il Paese – “Poi Bungasconi ce l’ha messa nel culo e sono ripartito” dice il Califfo di Romagna – ed era l’avanguardista dello yuppismo e andava a lavorare in Porsche, cambiando le gomme ogni sei mesi perché era sempre dietro a sgommare e faceva Roma-Imola in due ore e mezza, con l’ufficio a Palazzo Grazioli (che poi, ironia della sorte, sarebbe diventato proprio l’ufficio dell’ex Cavaliere), be’ anche a quei tempi ne ha viste di tutti i colori. Tant’è che ha conosciuto pure Ercole Incalza.

Per i distratti e gli schifati dalla cronaca italiana, facciamo un breve riepilogo.

Partiamo dall’inizio. O dalla fine, come ho già avuto modo di scrivere. “Grandi opere, tangenti e favori. Quattro arresti. Caso Lupi, assunzione e regali al figlio: non penso a dimettermi”. Era questa l’apertura del Corriere della Sera dello scorso 17 marzo sulle indagini per la presunta gestione illecita degli appalti delle grandi opere “mediante un articolato sistema corruttivo”. Con i magistrati di Firenze che indagano su un valore di 25 miliardi di euro di appalti ipotizzando che “gli importi degli appalti importanti di alcune tratte dell’Alta velocità e di numerose altre grandi opere venivano gonfiati fino a circa il 40% del loro valore previsto.” 

Così in una decina di giorni abbiamo imparato a conoscere la figura di Ercole Incalza – classe 1944, dal 2001 al 31 dicembre 2014 a capo della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, capace di resistere a sette governi e a cinque ministri – definito il “principe” dei Lavori pubblici dagli anni Ottanta a oggi. Arrestato insieme al suo collaboratore Sandro Pacella e agli imprenditori Stefano Perotti e Francesco “Frank” Cavallo. Abbiamo inoltre compreso qual era il rapporto che intercorreva tra questi signori e il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi. Che smentito e inchiodato dalle intercettazioni telefoniche – che hanno rivelato che “pur di difendere il ruolo di quel manager ormai in pensione (Incalza, ndr), ha minacciato addirittura di far cadere il governo” e di abiti sartoriali regalati, di un Rolex da 10.000 euro in dono per la laurea del figlio Luca e il successivo lavoro da 2mila euro al mese per il ragazzo e del fine settimana di ministro e consorte e relativa scorta nella splendida dimora fiorentina di Perotti, eccetera, eccetera – alla fine si è dovuto dimettere. Con quest’ultima “chicca”. Il 16 luglio 2014 Frank Cavallo alle 21,12 manda il seguente sms a Lupi in cui sollecita con un certo savoir faire di essere richiamato: “Pezzo di cazzone te lo dò io l’euro per rispondere se hai problemi”. E l’avaro “cazzone” dopo pochi istanti gli telefona per mettersi d’accordo di vedersi al ministero.

Detto ciò, siamo pronti.

Alberto, Ercole Incalza quando lo hai conosciuto e che tipo era? “Ci ho avuto a che fare una ventina di anni fa, prima di Mani Pulite, per una consulenza. Era particolarmente educato, raffinato, gentile, colto e molto competente. E chiaramente già all’epoca era il deus ex machina del sistema. Non perché fosse un bruto, tutt’altro. Era semplicemente il più competente. Era una figura centrale per intelligenza e preparazione. Non ci sono dubbi. Come non ci sono dubbi che fosse un apologo delle grandi opere e dell’Alta Velocità su tutte, che, in effetti, è stata l’unica cosa buona fatta nel nostro Paese negli ultimi 25 anni perché andare velocemente da Milano a Roma o da Bologna a Milano è un valore aggiunto non da poco. Insomma, era un cementificatore, nella visione che il bene dell’Italia era dotarla di grandi infrastrutture.”

Dall’indagine risulterebbe che da decenni le grandi opere ci costano il 40% in più. A tuo avviso è vero? “Il 40% in più, solo? Direi che è una cifra prudenziale. Sì, assolutamente, la logica della mazzetta non solo fa costare di più le opere, ma drammaticamente ne fa fare anche di inutili, purché sia semplice rubare, a discapito di quelle necessarie, che invece non si fanno per mancanza di fondi. Con la complicità della burocrazia e dei tempi eterni. Siamo un popolo di imbroglioni e per evitare gli imbrogli creiamo dei meccanismi mostruosi. La beffa è che chi vuole imbrogliare lo fa lo stesso perché è sempre un passo avanti e poi il malaffare vince perché muta geneticamente.”

Quanti Ercole Incalza ci sono ancora nei vari ministeri? “No. Incalza è uno degli ultimi giganti. Appartiene a un’altra generazione. È un dinosauro. Non so nemmeno come sia riuscito a sopravvivere a Mani Pulite. Quelli di adesso sono meno preparati. Sono dei dilettanti allo sbaraglio. Fanno l’Expo e non riescono neppure a finirlo e poi gli viene in mente di coprire le robe incompiute con i teli di cartone. Sono dei disperati. E il figlio di Lupi che fa il co.co.co. a 2mila euro al mese è indicativo della disperazione del Paese.”

Per l’appunto. E invece quanti Maurizio Lupi ci sono ancora in giro che accettano abiti in regalo e compagnia bella? “Partendo dal presupposto che in Italia il problema non sono i Lupi, bensì le pecore che vanno a votare, immagino che tra i deputati e i senatori siano decine e decine come lui, mentre nelle cariche più importanti non sono rimasti in tanti. D’altronde non dimentichiamoci che Lupi arriva da Comunione e Fatturazione. È la scuola massima. Sono come Scientology. Come quei predicatori americani che scappano con i soldi. Come il Maestro do Nascimento di Wanna Marchi.”

Chissà se con l’aiuto dell’euro debole e del petrolio basso, della troika, dei cinesi e del Fondo sovrano del Qatar, riusciremo a sopravvivere anche a questa lunga, interminabile stagione, fatta di principi e di pezzi di cazzone?

Dai, non perdiamo la speranza, forse sì. Viva l’Italia.

Forchielli intervistato da Michele Mengoli per Oblòg (27 Marzo 2015)

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