L’imprenditore: «Se fossi al governo doterei l’Italia dell’arma atomica, l’unica cosa che ti fa contare nel mondo di oggi»
La prima domanda – del tutto ovvia – è perché fondare un movimento con un nome così improbabile: “Drin Drin”. Alberto Forchielli risponde con l’arte della schiettezza, quella che spesso è un limite e solo per alcuni principale fonte di successo. «Da dieci anni la mattina io e Michele Boldrin registriamo un podcast. Spesso lo saluto così: drin drin Boldrin, è suonata la sveglia!». Con altrettanta schiettezza Forchielli ci tiene a dire che quando il movimento farà il salto nell’agone dei partiti, quel nome non andrà più bene: «Temo non ci prenderebbero sul serio. I nostri iscritti meno giovani trovano sia un nome giovanilista». La seconda domanda – altrettanto ovvia – è come gli sia saltato in mente a settant’anni di fondare l’ennesimo partito centrista. Dalla fine della prima repubblica in poi la lista degli insuccessi fa impallidire quelli della sinistra. Anche in questo caso Forchielli si affida all’inesauribile schiettezza: «Ci ispiriamo all’esperienza ‘Fare per fermare il declino’», il partito liberale che nel 2013 si presentò alle elezioni in pezzi dopo uno scontro interno e per questo non andò oltre l’un per cento.
Forchielli è sempre stato così, non ama parlare per perifrasi, né apparire corretto: «Per me quel che conta è innescare un circolo virtuoso nell’interesse del Paese. C’è un sacco di gente che non se la sente di votare, né a a destra, né a sinistra. Io stesso alle ultime elezioni ho votato per Azione, ma il centro fin qui è stato mal rappresentato. Alle ultime elezioni Calenda e Renzi hanno raccolto più o meno l’otto per cento dei consensi, un patrimonio dissipato dopo un litigio terribile e incomprensibile. Eppure c’è un sacco di italiani che chiedono di essere rappresentati da quelle idee, la gran parte di questi sono giovani, perché la politica ignora i giovani. Si parla di pensioni, tesoretti, dei loro problemi quasi mai. Non è possibile che in un Paese come l’Italia ci sia così tanta gente che emigra. I figli dei miei amici sono tutti all’estero, perfino i figli degli immigrati stanno emigrando».
Della materia Forchielli se ne intende. Nato a Bologna da una famiglia borghese – il padre era un civilista, il nonno fu deputato della Democrazia Cristiana – si laurea in Economia e vince una borsa per un master alla Harvard Business School. Nella vita ha fatto di tutto: il consulente strategico, il funzionario alla Banca mondiale e alla Banca europea per gli investimenti, il rappresentante in Asia per Finmeccanica, ha fondato un’azienda di rinnovabili, un osservatorio sull’Asia e un fondo di private equity in Cina. Quando la vita lo annoia, si inventa qualcosa che gliela risollevi. «Nel breve periodo in cui ho lavorato alla Bei in Lussemburgo, la cosa che mi dava più soddisfazione erano le giornate in bici da quelle parti. E siccome mi era venuta la passione per la bicicletta a un certo punto con un gruppo di amici decidiamo di comprare la Atala». Ne è stato presidente, e poi l’ha venduta.
Buon amico di Romano Prodi, all’inizio degli anni Novanta è anche consulente per la liquidazione della Cassa per il Mezzogiorno. Ha vissuto a Pechino, Shanghai, Hong Kong, a Bangkok, l’ultima volta prima di rientrare definitivamente a Boston. «Dopo la pandemia mi sono dato una calmata e sono tornato nella mia casa di Imola». Oggi insegna l’Asia alla Cattolica di Milano e alla Bologna Business School. Ha fatto così tante ospitate in televisione da aver ispirato un’imperdibile imitazione di Maurizio Crozza. Il podcast con Boldrin – un economista italiano trapiantato negli Stati Uniti – in certi giorni tocca i centomila contatti.
Il suo fondo di private equity, la cosa che gli ha dato più soddisfazione – anche economica – si chiamava Mandarin, poi si è reso conto che era un nome troppo cinese e l’ha ribattezzato Mindful. Ha fatto e fa affari con la Cina, ma della Cina e dei cinesi può dire cose politicamente scorrette. «L’ultimo motto che va di moda ora a Pechino è: dobbiamo costruire una Cina fuori della Cina. E siccome il mondo nei prossimi anni sarà pieno di dazi, la loro soluzione sarà semplice: apriranno impianti negli Stati Uniti, importeranno in Cina componenti imponendosi un autodazio al dieci per cento, e così risparmieranno la differenza sulla tariffa al trenta per cento imposta per i prodotti cinesi negli Stati Uniti. Ciò detto, il rapporto fra gli americani e cinesi negli anni a venire è tutto da decifrare. Non posso escludere che nella testa di Trump ci sia un ragionamento di questo tipo: lascio a Xi la sfera di influenza su tutta l’Asia, l’emisfero occidentale, Panama e la Gronelandia sono cosa mia. Se è così, per gli Stati Uniti sarebbe una roba devastante, perché perderebbero in un sol colpo Taiwan, il Giappone, la Corea del Sud, tutta l’Australia e il Sudest asiatico».
La convinzione di Forchielli è che il ritrovato dominio cinese del mondo non si fermerà nemmeno davanti a Trump. «Capisco astrattamente le sue ragioni. L’America produce con l’industria l’11 per cento della sua ricchezza, e così non può andare avanti. Per mantenere il dominio militare ha un disperato bisogno di ricostruire una base manifatturiera, perché la globalizzazione alla fine è stato un affare quasi esclusivamente per i seicento milioni di cinesi usciti dalla povertà«. Ma – dice Forchielli – è già troppo tardi. «Se non facciamo qualcosa ci distruggeranno e diventeremo i loro camerieri».
Soluzioni? «Bisogna porre enormi ostacoli al loro tentativo di penetrare economicamente ancor di più in Europa. Dobbiamo essere loro concorrenti, partire da una posizione di chiusura e non farci irretire dalla logica win win. Non funziona, il disastro del Green Deal, ideato e voluto da chi non ci capiva nulla di Cina, è sotto i nostri occhi». E dunque che farebbe nei primi cento giorni se qualcuno le offrisse le chiavi di Palazzo Chigi? «Andrei negli Stati Uniti per incontrare tre fondi di venture capital e offrirgli di trasformare l’area fra Milano e Torino nel cuore delle start up in Europa». Secondo: «Doterei l’Italia dell’arma atomica, l’unica cosa che ti fa contare nel mondo di oggi». Terzo: «Riscriverei la legge Bossi-Fini perché abbiamo un disperato bisogno di immigrazione, ma accompagnerei la riforma con una svolta securitaria».
Forchielli non è in realtà interessato ad avere nessuna chiave dei palazzi. «Il nostro frontman è Boldrin. Lui si occupa del processo politico, io di una magnifica organizzazione fatta di duecento volontari, diecimila iscritti, quasi trecento eventi in appena sei mesi». Di più: Forchielli sa benissimo che anche con un altro nome Drin Drin faticherà ad esistere autonomamente. «So che dovremo fare degli accordi. I nostri alleati naturali sono +Europa e Calenda, e con Carlo già ci confrontiamo regolarmente. L’unico a cui abbiamo chiuso già le porte è Marattin (Luigi, già parlamentare di Italia Viva e fondatore di “Orizzonti Liberali”). Con lui proprio non ci capiamo».
L’intervista di Alessandro Barbera, pubblicata su La Stampa, 10 Marzo 2025