Edward P. Lazear, celebre professore dell’Università di Stanford e già chairman del Consiglio dei consulenti economici del presidente George W. Bush (2006-09), a dicembre 2016 ha scritto sul The Wall Street Journal un approfondimento da far venire i brividi freddi su come in pochissimo tempo gli USA abbiano perso la loro eccezionalità, generando in pochi anni una folle inversione di tendenza dei valori economici fondativi (che tra poco elencherò) che hanno prodotto quel mostro di Trump come presidente, vergognoso sia istituzionalmente sia umanamente, con il gradimento più basso di sempre e il più osteggiato dai media e dall’opinione pubblica americana (tra danno e beffa, grazie al sistema elettorale americano, vincitore con meno voti dei cittadini della sua avversaria Hillary Clinton). E votato da un’America che io, frequentando solo Boston, New York e San Francisco, neppure conosco.
Veniamo alla premessa storica. Quando il grande filosofo francese Alexis de Tocqueville visitò l’America nei primi anni del Diciannovesimo secolo – definendola una “economia eccezionale” – il PIL pro capite in Inghilterra era superiore del 50% rispetto a quello americano. Mentre uno studio dell’OCSE del 2014 accertava che nel Ventesimo secolo gli USA avevano raggiunto l’Inghilterra per superarla di un costante 30% dalla Seconda guerra mondiale, mantenendo invariato il distacco. E ancora nell’analisi del 2014 si costatava che nessun altro Paese del G-7 poteva contare su un PIL pro capite più ricco di quello statunitense.
Con un altro dato illuminante riferito al suo costante progresso economico. Dal PSID (The Panel Study of Income Dynamics) del 2012 risultava che l’84% degli americani intervistati guadagnava di più rispetto ai genitori. E lo stesso rapporto documentava anche una certa mobilità ad alto reddito, nel senso che i nati poveri non necessariamente restavano poveri e parallelamente che i tre quinti degli americani ricchi provenivano da famiglie non abbienti. Per una scala sociale che per l’appunto abbiamo imparato a conoscere come la realizzazione del celeberrimo “sogno americano”.
Sogno americano che poi ha spinto un gran numero di persone a cercare di vivere – riuscendoci – negli USA e difatti dal 2009 al 2014 sono oltre un milione l’anno coloro i quali hanno ottenuto la carta verde (dati del Dipartimento di Stato). Sogno americano che ancora faceva dire al 21% dei residenti dell’Unione Europea che il Paese ideale dove avrebbero voluto lavorare erano proprio gli USA (da un’indagine condotta dalla Commissione europea nel 2010).
Detto ciò, perché l’economia statunitense è stata così attraente?
Be’, perché gli americani sono industriosi: le ore lavorate per persona in età lavorativa sono le maggiori del G-7 (analisi OCSE su dati 1991-2014). Come sono in testa alla classifica dello spostamento da una città a un’altra per lavoro lungo tutto il Ventunesimo secolo rispetto ai residenti dei principali Paesi europei (più del doppio) con il picco di una statistica cinque volte superiore a noi italiani, la popolazione meno mobile del Vecchio Continente (indagine della Commissione europea del 2008).
Inoltre il mercato è fluido con 62,6 milioni di assunzioni e 60,1 milioni di separazioni-licenziamenti, con un netto positivo di oltre di 2,5 milioni di posti di lavoro su una forza lavoro complessiva composta da 150 milioni di lavoratori (dati 2016).
E poi gli Stati Uniti sono il Paese dalla fiscalità più bassa del G-7 con un rapporto tra tasse totali e PIL che negli USA è poco più del 25%, mentre è del 30% in Giappone e del 45% in Italia e Francia (OCSE).
Questo è il quadro economico complessivo che duecento anni dopo Tocqueville poteva ancora definirsi “eccezionale”. Ma già molti di questi parametri negli ultimi anni sono saltati per aria. Così, non solo, oggi, in America i figli hanno smesso di guadagnare di più dei loro genitori e la mobilità sociale è impantanata come le Everglades della Florida con i poveri che restano poveri e la classe media che ormai è scomparsa ma, addirittura, con anche il tasso di mortalità che ha invertito una rotta che pareva impossibile da invertire.
Tutto ciò è stato innescato da molteplici ragioni, economiche e finanziarie, legate alla globalizzazione e alla logica delle multinazionali e alla geopolitica. Basti pensare a quanto benessere poteva essere destinato ai cittadini americani se non fossero stati buttati nel cesso trilioni e trilioni di dollari nelle guerre – tutte perse – che gli USA hanno portato in “tournee” in giro per il mondo negli ultimi decenni. E che drammaticamente – come si dice, al peggio non c’è mai fine – hanno portato all’impoverimento dell’americano medio, al voto di protesta e quindi alla presidenza un pericolo pubblico (mondiale) come Trump.
Perciò, se fino a pochi anni fa gli Stati Uniti rappresentavano di sicuro il miglior Paese del mondo dove vivere e che dell’accoglienza ha fatto il suo cavallo di battaglia più degli albergatori della riviera romagnola. Con il sottoscritto che è arrivato a Boston nel giugno del 1979 e che è sempre stato trattato con gentilezza (e mai discriminato come italiano, nazionalità che nonostante tutto ho mantenuto con romantico orgoglio). Be’, ecco, alla luce degli ultimi anni, di Trump e del Trumpismo, il rischio concreto è che il sogno americano si trasformi nel peggiore degli incubi.
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FORCHIELLI DELLA SERA
Dal sogno all’incubo. La mutazione genetica degli USA (che ha prodotto il Trumpismo).
Alberto Forchielli2 Febbraio 20170
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