Gli equilibri degli affari internazionali sono sull’orlo di un profondo mutamento. Da una parte ci sono la Cina, che da paese produttore di qualità si è sempre più trasformato in una potenza di qualità (specie in ambito tecnologico), e le due macroaree del Sud Est Asiatico e del Sud Asia, che crescono a ritmi sostenuti. Dall’altra ci sono gli Stati Uniti che, stando alle posizioni assunte dai mercati finanziari e dalle banche centrali di mezzo mondo, è probabile che andranno incontro a un periodo di recessione e di ulteriore indebolimento del dollaro. In mezzo l’Europa, che probabilmente verrà trascinata dalla crisi americana e che, nel frattempo, deve fare i conti con una guerra che sta portando a una riscrittura dei piani energetici anche italiani. Ecco per-ché sapersi muovere e saper leggere questi mutamenti diventa sempre più importante anche per le imprese romagnole. Di tutti questi temi è esperto Alberto Forchielli, imprenditore bolognese che nel corso della sua carriera è stato e continua a essere consulente per grandi multinazionali, imprese statali e per la Banca Mondiale di Washington.
Guardando i numeri del nostro territorio, per la verità anche quelli nazionali non sono molto dissimili, attualmente i rapporti commerciali non sembrano guardare molto a Est. Per quale motivo, vista la crescita dell’area asiatica? «Se parliamo di esportazioni, il nostro Paese, e così anche la Romagna, ha da sempre rapporti commerciali molto forti con il resto d’Europa, Germania in primis. Si tratta di un fronte importante, questo, sul quale è fondamentale continuare ad investire. Nel frattempo, bisogna guardarsi attorno. Venendo quindi alla sua domanda, noi siamo rimasti abbastanza esclusi dall’export con la Cina».
Per quale motivo? «I fattori sono molteplici. Intanto la Cina è sempre stato un paese su cui appoggiavamo la nostra produzione, in secondo luogo la sua competitività è molto cresciuta in questi anni e così anche il livello qualitativo. Le nostre imprese invece sono per lo più piccole, con un networking limitato e poca struttura bancaria. Così tutto è affidato all’eroismo dei singoli».
Le diverse operazioni di reshoring in atto potrebbero fornire una risposta nell’assumere una posizione dl maggior forza verso questo Stato? «La verità è che la Cina ha deluso e questo ha generato una perdita di fiducia e il cambiamento delle catene del valore. Quindi ecco il reshoring, ma con non poche difficoltà. Vediamo con quale fatica Apple stia provando a spostare la produzione in India».
La Cina attualmente detiene II 90% della produzione mondiale di pannelli solari, il 60% di turbine per l’eolico, il 65% delle batterie e ha accordi di fiera ormai stabili per le estrazioni di minerali e terre rare. In un contesto nel quale si parla sempre più di energie alternative come d si può difendere? «Servono degli strumenti di pianificazione industriale come sussidi e barriere doganali. Lo dico molto chiaramente: è inevitabile il passaggio da una dipendenza verso i paesi produttori di petrolio ad una dipendenza verso le produzioni cinesi. Il problema è “come” ciò avverrà. Prendiamo proprio l’esempio delle automobili, che per questo territorio sono così importanti, ma nel quale siamo ancora molto indietro rispetto al tema dell’elettrico, mentre la Cina è irrimediabilmente avanti».
Dunque, cosa occorre fare? «Servirebbe ragionare su degli accordi di filiera per i minerali, anche se oggi non riusciremo a strappare mai le condizioni che i cinesi hanno ottenuto dieci anni fa».
Se dalla Cina dobbiamo in qualche modo”difenderci”,su quali Paesi, allora, le nostre imprese dovrebbero volgere lo sguardo? «Sicuramente verso il Sud Est Asiatico e il Sud Asia. Quindi: Thailandia, Indonesia, India, Filippine, Pakistan, Bangladesh, ma anche lo stesso Giappone. Si tratta di economie che stanno crescendo molto forte, con consumi in ascesa e con le quali sarebbe importante costruire degli accordi commerciali. Attualmente i dati ci dicono che siamo indietro negli affari con questi Paesi»
Quindi dovremmo comandare subito? «Assolutamente sì. Sarebbe importante».
La scorsa settimana abbiamo scoperto che Ravenna nel 2022 ha aumentato il proprio export verso la Russia del 135%. Come si può giustificare ciò, dato II momento? «I rapporti commerciali con la Russia non sono mai venuti meno. E questo non vale solo per Ravenna, dove probabilmente, anche se non posso fornire una risposta precisa, il dato si giustifica con una commessa particolarmente rilevante nell’ambito della produzione di metalli. In ogni caso, come dicevo, l’import export non è mai venuto meno, anche se limitato da sanzioni che coinvolgono circa il 50% dei beni, tra cui il petrolio (quest’ultimo, però, solo dalla fine dell’anno scorso)».
Un ultimo aspetto: in un momento nel quale bisognerebbe Intensificare i nostri rapporti commerciali con l’estero, l’inflazione rischia di limitare i margini di manovra delle imprese? «Qualora si dovesse continuare a battere sulla crescita dell’inflazione, con tassi attualmente così brutali, il rischio potrebbe essere davvero quello di soffocare la crescita. In ogni caso, la sensazione è che l’inflazione d’ora in poi rientrerà sempre di più. Quello che non vedo sono, invece, delle politiche espansive».
E come mai nella nostra Regione i prezzi crescono di più rispetto ala media? «Semplice: essendo un’area più ricca garantisce uno spazio maggiore per realizzare degli aumenti».
La strada per la crescita passa sempre di più dalla capacità delle imprese di avere uno sguardo rivolto verso l’estero. Il problema, come si evince dalle considerazioni fatte da Alberto Forchielli, è compiere le scelte più giuste per muoversi intanto con anticipo rispetto ai mercati globali e, poi, per evitare di subire le scelte strategiche delle grandi potenze economiche, la cui bilancia commerciale è sempre fortemente in attivo. Analizzando i numeri messi in fila dalle Camere di commercio del territorio, si può notare molto bene come la propensione all’export della Romagna abbia trovato una nuova vitalità. C’è infatti un approccio ai mercati esteri pre e post pandemia. Prima del 2019 le tre province di Ravenna, Rimini e Forlì-Cesena mostravano un andamento nei volumi di export in salita, sì, ma con percentuali che ogni anno stavano andando via via diminuendo. Basta prendere come esempio il tasso di crescita tra il 2018 e il 2017, che era stato del 7,5%, e metterlo a confronto con quello tra il 2019 e il 2018, che si è invece fermato a un più 2,6%. Dopo il pesante scivolone del 2020, che ha visto i volumi delle esportazioni romagnole crollare in un anno quasi del 12%, raggiungendo percentuali di decrescita seconde solo a quelle della grande crisi del 2008 e del 2009, la sensazione, analizzando i numeri, è che durante la ripartenza le imprese abbiano trovato proprio nell’export la via per il rilancio. Nel solo 2021 la Romagna ha dunque portato il valore delle sue esportazioni a 11,7 miliardi di euro (di cui 5 miliardi a Ravenna, 4 miliardi a Forlì-Cesena e 2,7 miliardi a Rimini), facendo così balzare i dati oltre quelli del 2019. E l’anno scorso? Altro incremento del più 18% rispetto all’anno precedente, con le stime 2022 delle Camera di commercio che parlano di un export romagnolo che ha complessivamente sfiorato i 14 miliardi di euro (6,3 miliardi è stata la quota ravennate, 4,5 miliardi quella di Forlì-Cesena e 3 miliardi il valore dell’area riminese).
Aprirsi in altre aree.
Quello che sembra mancare, allora, non è tanto una propensione ai mercati d’oltre confine per le imprese del territorio, quanto una capacità di saper esplorare nuove aree in via di sviluppo, così da tessere rapporto commerciali che si potrebbero tramutare come davvero vincenti negli anni futuri. Uno su tutti? Il mercato asiatico che, attenzione, non vuol dire solo Cina, ma bensì India, Indonesia, Filippine e altri ancora. Attualmente l’Europa assorbe quasi 1’80% delle esportazioni romagnole, seguita dalle Americhe che si prendono un altro 10% circa dei prodotti delle aziende sparse tra Ravenna, Rimini, Forlì e Cesena. Ciò che resta è diviso tra Asia, Medio Oriente, Africa e Oceania, dimostrando senza ombra di dubbio quanti passi in avanti si potrebbero ancora fare per avere uno sguardo che sia maggiormente rivolto a Est. E non solo quando si parla di importazioni, ma bensì anche in rapporto all’altro piatto della bilancia. Basti pensare che un mercato come l’India – la cui popolazione a giugno di quest’anno, secondo lo “State of world inhabitants report 2023”, il rapporto sulla demografia mondiale da poco pubblicato dall’Unfpa, supererà quella cinese – è attualmente non presidiato. Insomma, come dice una celebre canzone italiana, “si può fare di più”.
L’Intervista di Alessandro Cicognani pubblicata su Corriere di Romagna, 26 Aprile 2023