Le conseguenze economiche saranno disastrose e sarà la fine del nostro sistema industriale.
Imprenditore, giornalista e blogger, Alberto Forchielli è fra le altre cose partner fondatore di Mandarin Capital Partners e vanta 30 anni di esperienza manageriale nell’ambito dello sviluppo di affari internazionali, con particolare focus su Cina e India, ma anche Stati Uniti, Germania, sud est asiatico e Singapore. Nello scorso autunno era proprio a Wuhan quando ha iniziato a prendere piede il Covid-19 ed è tornato a casa a novembre. Giusto in tempo. O quasi, visto che è caduto quasi dalla padella nella brace. Chi dunque meglio di lui per una disamina della situazione con l’occhio rivolto alle conseguenza future?
Ha lasciato la Cina dove ha vissuto a lungo e lavora da anni quando l’epidemia Coronavirus doveva ancora esplodere e si sarà “per fortuna”, oggi vi si ritrova in mezzo: il suo pensiero?
«Quando sono rientrato si capiva già come sarebbe finita con il Covid-19, ma sinceramente non mi sarei immaginato di ritrovarmelo dopo qualche mese in Italia con tale virulenza: sono comunque contento di essere a casa e di affrontare la situazione con i miei cari».
Qualche settimana fa disse che Conte era all’altezza della situazione nel limite del fatto che siamo in un Paese democratico e che non si poteva fare come in Cina anche se si poteva essere un po’ più duri. Oggi lo si è diventati, il suo pensiero è lo stesso?
«La realtà è che noi siamo messi peggio della Cina e basta fare le proporzioni per averne conferma: stiamo parlando di un Paese 23 volte l’Italia che non ha raggiunto tale intensità e questi numeri. Ma non ci voleva molto a capirlo, era chiaro fin da subito. Pensiamo di essere sfortunati, ma non è così, paghiamo un mix di imperizia a tutti i livelli: a Roma, nelle Regioni e negli ospedali. Ma non è sulle prospettive sanitarie che sta a me pronunciarsi: il mondo è in mano ai virologi ed è giusto che di queste cose parlino i medici. Io lo faccio d’altro».
Entriamo allora nel suo campo: nel frattempo l’Europa ci è venuta incontro facendo saltare il Patto di Stabilità.
«Era scontato e inevitabile. Questo, insieme alla manovra di 750 miliardi della
Bce, mette sostanzialmente in sicurezza i conti dello Stato, ma non basta: nel 2020, avremo il nostro fabbisogno di 345 miliardi coperto dalla Bce per almeno i due terzi, ma un deficit del 5% non è sufficiente. A noi serve farne finanziare uno del 15% per provare a sopravvivere e dovremo lottare strenuamente perché vengano emessi gli Euro Bond. È questa l’unica vera soluzione, da affiancare alle linee di credito garantite dallo Stato. Il problema è che abbiamo un governo poco credibile in sede europea. Se c’è un momento in cui servirebbe Mario Draghi presidente del consiglio è proprio questo e dovremmo giocarci l’unica grande risorsa della nazione che abbiamo».
È di domenica l’ulteriore giro di vite che viene a sancire la chiusura delle attività produttive. Come lo giudica?
«È un provvedimento devastante e deleterio, le conseguenze economiche saranno a dir poco disastrose e sarà la fine del nostro sistema industriale: i Paesi forti stanzieranno infatti risorse importanti e pian piano riusciranno a rimettersi in piedi, quelli deboli come il nostro che non hanno risorse a sufficienza soffriranno molto più. Si creerà una divaricazione netta a livello economico, che, una volta ritornata la normalità, ci vedrà invischiati nella fascia bassa. Il problema non è tanto il debito pubblico, come detto messo in sicurezza dalla Bce, ma quello di imprese che senza fatturato non possono resistere che qualche mese. Gran parte delle stesse è più che a rischio».
Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia parla di provvedimento che ci fa entrare in una “economia di guerra”, di perdite mensili per 100 miliardi e di 70% delle attività destinate a non riaprire più.
«Concordo in pieno. Il blocco dell’attività produttiva sarà un massacro per il Paese, ma purtroppo Confindustria è un country club che si muove troppo tardi invece che farlo con forza prima e si è arrivati a questo: a lavoratori che ora sono in sciopero perché le aziende non chiudevano e fra sei mesi faranno sciopero perché sono chiuse e non riapriranno più. Il Paese si sta avvitando in un pericoloso catch 22, ossia in un circolo vizioso: medici, virologi e sanitari in genere sono degli eroi, ma sulle attività produttive bisognava tenere duro. Inevitabilmente i nostri clienti internazionali, quelli che ci fanno ancora ordinativi, a breve passeranno a farne da produttori più affidabili: mi riferisco ai comparti più svariati, ceramica, mobile, abbigliamento ma anche il lusso. Dovevano aspettare prima di arrivare a un decreto come questo: negli ultimi giorni i contagi e i decessi sono stati in calo e bisognava capire se il trend stava cambiando, se si era presa la curva discendente e si stava consolidando veramente prima di arrivare al provvedimento più nocivo che si potesse assumere. Come dice Boccia, si entra in un’economia di guerra e dovremmo allora creare un Ministero per danni di guerra, ma il problema è sempre lo stesso: dovrebbe essere dotato di grandi risorse che non ci sono. E non mi pare proprio di cogliere l’intenzione di andare a creare un numero elevato di linee di credito garantite dallo Stato ed erogate dalla Cassa Depositi e Prestiti o dalla Banca Europea Investimenti come hanno già fatto immediatamente, come primo provvedimento, Germania e Inghilterra e come sta tentando di fare Trump cercando di far approvare la medesima linea dal Congresso negli Usa».
Orizzonte a dir poco fosco quindi: cosa ci insegna oggi la Cina? Quanto pensa ci vorrà per uscire dall’emergenza e come ne usciremo?
«La Cina ci dice innanzitutto che i controlli non potranno essere allentati neanche quando l’emergenza sarà finita: là prosegue infatti la quarantena perché c’è il pericolo del virus di ritorno. Di quello riacceso dai rimpatri. E ci insegna soprattutto che l’idea che si riparta come prima è a dir poco fallace: la ripresa sarà infatti terribile, perché alla rimessa in moto della produzione non fa da contraltare quella della domanda. Prepariamoci all’idea che la crisi sarà lenta e si protrarrà almeno a tutto il 2021: una crisi paragonabile a quella del 1929-30, con picchi di disoccupazione che raggiungeranno il 20%».
Intervista di Nicola Strazzacapa, pubblicata su Corriere Romagna – Speciale Economia il 25 Marzo 2020
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