Le verità di Alberto Forchielli (Fondo Mandarin): dalla finta cordata alle ambizioni nascoste del presidente Li
Il Milan è a un passo dal lasciare San Siro ed è bufera sui rossoneri. Beppe Sala si infuria con il club presieduto da Li Yonghong e amministrato da Marco Fassone: in una intervista a Sky Sport incalza sui tempi, quasi detta un ultimatum, per arrivare presto alla ristrutturazione dello stadio Meazza e alla possibilità di un nuovo stadio del Milan. È gelo. Il Milan affida la risposta a un comunicato stampa: “ Ac Milan precisa che il club non ha mai manifestato il desiderio di lasciare San Siro”. Eppure, secondo quando risulta a Milano Finanza, la decisione di uscire (il 30 giugno) dalla joint venture con l’Inter che gestisce lo stadio è stata comunicata al comune di Milano nei giorni di Natale.
Al Milan non ne va bene una
Una campagna orchestrata da venditori, compratori o intermediari, e un uomo d’affari, Li Yonghong, che punta ad arrivare a una forma di fallimento sperando che qualcuno metta i soldi per salvare una squadra fortemente indebitata. Sono alcuni dei retroscena sull’acquisto cinese di AC Milan svelati in questa intervista da Alberto Forchielli, managing partner del Fondo Mandarin, il primo fondo di private equity ad aver ottenuto capitale in gestione dal governo cinese.
Quando tutto ha inizio
Questa storia inizia un anno e mezzo fa. Il 5 agosto 2016 Fininvest firma il preliminare di vendita del 99,93% del Milan a Sino-Europe Sports, “il fondo rappresentato da Li Yonghong e Han Li”. Sino Europe versa la prima caparra da 100 milioni di euro. Marco Fassone, dirigente sportivo già direttore generale dell’Inter, viene indicato come futuro AD del Milan. I mesi successivi saranno scanditi da closing infiniti. L’operazione si concluderà in modo opaco nell’aprile del 2017 con l’acquisto per 740 milioni di AC Milan da parte di Li Yonghong, il quale, rimasto privo di una cordata di investitori, a causa di un patrimonio finanziario poco trasparente e del blocco cinese sull’esportazione di capitali, dovrà chiedere un prestito di 300 milioni all’hedge fund americano Elliott, con un tasso di interesse dell’11,5%. Che dovrà saldare nell’ottobre del 2018. Non si è capito ancora bene come.
Un anno prima
“Il 23 giugno 2016 Sky Sport mi chiama per intervistarmi sulla cordata cinese interessata al Milan. Fino a quel momento non mi ero occupato dell’operazione. Ero a Milano, così accettai l’invito. Prima di andare in trasmissione, feci un rapido giro di telefonate in Cina”. Alberto Forchielli quel giorno chiama gente fidata del mondo politico e finanziario di Pechino. “Tutti mi dicono che la cordata cinese non c’è”. Sulla stampa italiana circolavano da tempo i nomi di importanti investitori cinesi di una presunta cordata guidata da Li che avrebbe rilevato le quote del Milan (notizie in seguito rilevatesi fasulle). “Vado a Sky, e molto innocentemente dico: la cordata cinese non esiste”.
Risultato? Forchielli investito da un’ondata di improperi e offese sui social
“Mi affaccio al mondo del calcio e della tifoseria in modo ingenuo, e vengo sepolto da una valanga di merda”. Migliaia i messaggi incommentabili: “muori” “crepa” sono i tweet meno offensivi. “Nei mesi successivi faccio ulteriori verifiche con altre persone”, racconta Forchielli. “Accerto che il Signor Li esiste e ha una certa consistenza patrimoniale, ma intorno a lui, il nulla”. Seguono altre interviste con altre testate: “Dico le stesse cose – continua – le mie fonti non erano male, ci ho vissuto 10 dieci anni in Cina. In una nuova intervista in agosto con Sky Sport esprimo dubbi sulla possibilità che la presunta cordata cinese guidata da Li Yonghong sia in grado di fare uscire dalla Cina i soldi per comprare una squadra di calcio. Sky Sport non mi ha più chiamato”.
“I tifosi del Milan erano diventati improvvisamente grandi esperti di Cina”
Gli ultrà si erano convinti che dietro alla cordata di Li ci fosse la longa manus del presidente cinese: “Xi Jinping fa quello che gli pare”, “chi se frega dei controlli valutari”, “l’acquisto del Milan è una cosa che vuole il presidente cinese” – cinguettavano. “Eppure le mie fonti sono abbastanza buone”, afferma l’imprenditore bolognese. Dire che la cordata cinese che vuole acquistare il club rossonero sia appoggiata dal governo cinese è una “menzogna incredibile”, sottolinea l’economista. “Figuriamoci se Xi si fa trascinare in un tortellone di questa portata. I cinesi che hanno comprato il Milan hanno distorto l’integrità intellettuale di un intero governo, che ha successivamente negato a Li i fondi, ammesso che li avesse, cosa di cui dubito, e limitato le acquisizioni di club calcistici (per il timore di una fuga di capitali, ndr)”.
Il ruggito di Huarong
“Una cosa mi appare presto curiosa”. Quale? “Nel mondo sportivo e degli affari italiano, e nei media, circolano informazioni con dovizia di particolari sulla composizione della presunta cordata. Molti tra i tifosi che mi offendono sui social fanno girare il nome di Huarong”, il colosso cinese dell’asset management che a febbraio smentirà a Business Insider ogni possibile coinvolgimento. “Il ruggito di Huarong investe i social. A quel punto capisco che c’è una campagna stampa orchestrata, con radici italiane, non cinesi, che sostiene una tesi che io ritengo del tutto inverosimile”.
Le smentite confermano la tesi di Forchielli: la cordata non esiste
La storia continua e si fa via via più grottesca. “Mesi dopo, nell’inverno del 2017, vengo contattato da altri media. Business insider e Agi fanno la controprova: contattano la Cina e arrivano alle mie stesse conclusioni. AgiChina, grazie a risorse fluenti in cinese mandarino, ottiene due clamorose smentite da China Merchant Bank e da China Construnction Bank, toccando con mano ciò che sostengo da tempo: non c’è traccia della cordata osannata da Li Yonghong. Ripeto: Li c’è, ma intorno a lui, il buio”, spiega Forchielli con una punta di amarezza.
Torniamo al Milan di oggi: Li è un caterpillar
“Mentre il closing continuava a slittare, ho più volte affermato in varie interviste che un soggetto non in cordata senza una totale capacità finanziaria, sarebbe stato pericoloso per il Milan”, ha continuato Forchielli. “In base alla mia esperienza, soggetti come Li possono essere immaturi, fare investimenti sconsiderati, rischiano di non avere il buon senso utile a districarsi in terreni nuovi, avendo la presunzione di farcela. E sono impermeabili alle critiche della stampa. Modificano atteggiamento solo quando vengono toccati dalla stampa cinese, ma anche in questo caso, i giornalisti cinesi sono sempre stati negativi su Li, il quale però non sembra esserne turbato”.
Dall’inchiesta del New York Times alla bocciatura della Uefa, cosa non va in casa Milan
Una recente inchiesta del New York Times ha verificato i punti oscuri del sistema finanziario con cui Li Yonghong ha acquistato la società rossonera da Berlusconi. Al club rossonero servono presto i soldi per restituire al fondo americano Elliott il debito da 300 milioni di euro che scade alla fine del prossimo anno. Il business plan di AC Milan prevede una fortissima crescita dei ricavi nell’arco dei prossimi cinque anni puntando sulla crescita del mercato cinese e sui guadagni della Champions League. L’ultima mazzata è arrivata proprio dalla Uefa, che ha bocciato il voluntary agreement richiesto dal Milan. Una preoccupazione relativa che avrà un impatto negativo sul prezzo di un’eventuale rivendita, ha scritto il Corriere della Sera, mentre a Milano “i manager devono gestire la latitanza della proprietà, gli onerosissimi bond, il rischio di una ricapitalizzazione di emergenza prima della chiusura del bilancio (30 giugno) e una classifica più che deludente”. Tra i motivi del viaggio dell’ad Marco Fassone in Cina, nei mesi scorsi, anche quello di verificare come procede la ricerca di nuovi capitali da parte di Li Yonghong. Negli stessi giorni il futuro dell’allenatore Montella, sostituito con Gennaro Gattuso a fine novembre, iniziava a vacillare: non era previsto un avvio di Campionato così fiacco dopo i 230 milioni spesi – cifra record – per rinnovare la squadra e puntare alla qualificazione alla Champions. Da tempo Fassone sostiene di essere a un passo dal rifinanziare il debito contratto con Elliott.
Che fine farà il Milan?
“Giocherà in promozione con il Mezzolara”, incalza Forchielli, convinto che il club sia una barca che affonda. Poi corregge il tiro: “È chiaramente una provocazione, ma se leggo l’inchiesta del New York Times e penso al giudizio della Uefa, mi sembra che la strada sia quella. Ovviamente mi auguro che le sorti della squadra si risolleveranno”. Una storia beffarda, quella del Milan. “Li che oggi punta ad arrivare a una forma di fallimento; spera che alla fine arrivi qualcuno a dargli un pacco di soldi per salvare la squadra”.
L’ambizione di Li Yonghong? Lasciare un segno
Li, noto in Cina per le sue truffe, non teme guai giudiziari. “Vive a Hong Kong, se ne sbatte della Cina. Non ha commesso grossi reati, non c’è il rischio di una intrusione del governo cinese, né teme eventuali problemi con la giustizia italiana. La situazione in cui versa il Milan non aggrava la sua situazione. Il punto è che entrare nel club è stata una pessima decisione; dopo il versamento della prima caparra, con il successivo blocco del governo a esportare capitali, ha cercato di non perdere i soldi già versati”. Ma dietro all’acquisto del Milan, che ha procurato a Li più grattacapi che profitti, c’è un sogno che accomuna i nuovi ricchi cinesi, “uomini d’affari che hanno fatto soldi in poco tempo, in modo rocambolesco, imprenditori che aspirano a uscire dalla massa anonima di un miliardo e 400 milioni di cinesi”.
Il desiderio di dire: ci sono anche io
Anche Li vuole lasciare un segno, diventare qualcuno. “Il desiderio di dire: ci sono anche io. Il Milan per Li è stata più ambizione che sete di profitto. Se il Milan salta per aria, pazienza; spera che se ne occupino altri, lui se ne sta tranquillo a Hong Kong, indifferente alle critiche dei giornalisti, del resto non ha una immagine da santo da salvaguardare. Deve giusto stare attento a non prendere una querela. Il pastrocchio del Milan è colpa di una congiura italiana. Li sarebbe capace di non pagare lo stipendio ai calciatori per 3-4 mesi e tirare corda fino all’ultimo”. Ma il danno più grosso Li lo ha fatto alla Cina di Xi Jinping “nuocendo seriamente il soft power Cinese agli occhi dell’opinione pubblica europea”.
Articolo di Alessandra Spalletta, pubblicato su Agi.it
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