Studi scientifici “contro” quelli umanistici… (II parte)

E una invenzione che sembra semplicemente pazzesca
Riprendiamo il discorso sulla superiorità della mentalità scientifica rispetto a quella umanistica attraverso i ragionamenti del mio affezionato lettore, Ciro Balestrieri. Con le mie considerazioni finali, insieme a un esempio semplicemente pazzesco.
In fisica si conoscono bene i regimi di validità delle teorie, per esempio la fisica classica di Newton è valida nel “mondo macroscopico a basse velocità”. Grossolanamente – per essere sbrigativi – al di sotto di qualche centinaio di nanometri si parla di mondo microscopico e lo si tratta con la meccanica quantistica, mentre a velocità prossime a quelle della luce abbiamo le alte velocità e vanno studiate con la teoria della relatività. Pertanto per l’ingegneria edile ci si avvale ancora di Newton, per la tecnologia dei semiconduttori ci si affida alla meccanica quantistica mentre per lo studio delle particelle negli acceleratori si segue Einstein. La scienza si pone come obiettivo di scoprire e studiare le leggi universali, indipendenti da qualsiasi soggetto che le studia, perciò rimangono sempre vere e si possono costruire tutte le tecnologie attualmente a disposizione.
Tornando all’inizio, uno degli argomenti utilizzati nella difesa del sistema geocentrico da parte dei tolemaici era semplicemente ricordare che Aristotele aveva detto che la Terra era al centro del cosmo e quindi il Sole doveva girargli intorno. Senza evidenze sperimentali ottenute con l’avvento del telescopio si sarebbe pensato così per molto altro tempo, perché se il più grande filosofo aveva stabilito questo chi altro poteva contraddirlo?
Scientificamente parlando, tutto ciò non ha senso, indipendentemente da chi sostiene cosa, possa anche essere un luminare in quel specifico settore, non è di per sé vera ma va dimostrata tramite esperimento, e anche un suo studente del dottorato ha la facoltà di confutare tali tesi. Tuttavia, le materie umanistiche non sono affatto inutili, hanno la loro funzione sociale, ma non sono più centrali come potevano essere secoli fa, e continuare a trattarle alla pari se non spesso superiori a quelle scientifiche ormai è soltanto ridicolo. Se si guarda soltanto in Italia, nella seconda metà del Novecento ci sono stati e ci sono tutt’ora illustri professionisti che non hanno studiato al liceo e hanno dato prestigio alla nazione, da Giulio Natta, inventore dei catalizzatori usati per la produzione di massa delle materie plastiche a Federico Faggin, capace di progettare per la prima volta il microprocessore nei laboratori dell’Intel.
Alla domanda se studiare filosofia, greco, latino e storia dell’arte sia più formativo e utile di matematica, fisica, chimica e informatica, dopo la lettura di quest’articolo il no sembra alquanto scontato.
Per ironia della sorte concludiamo con la seguente affermazione detta da un filosofo per constatare la grandezza della scienza: “se la realtà e l’apparenza coincidessero non esisterebbe la scienza”.
A volte anche con la filosofia si dicono cose vere (ma solo la scienza può dimostrarle).
C’è poco da aggiungere, se non complimentarsi con Ciro Balestrieri per i suoi ragionamenti. Condivido ogni sua singola parola. E calo la briscola, con un esempio che è frutto di quello che ha raccontato lui, ossia della mentalità scientifica.
Nell’ottobre 2017, gli informatici della University of Washington, hanno presentato un metodo, che utilizza, tra gli altri, fili conduttori e magneti, per mettere i dati digitali nel tessuto degli abiti!
Con quali conseguenze?
Be’ che i vestiti possono essere utilizzati per sbloccare le porte, far funzionare gli smartphone da diversi centimetri di distanza o mille altre “pippe”, come pagamenti elettronici o identificazioni varie. Tra l’altro la procedura non è elettronica, perciò questi tessuti si possono lavare e stirare. Ah, tanto per intenderci, Google e la National Science Foundation stanno contribuendo al finanziamento del progetto, che è alle sue fasi iniziali.
È la stessa mentalità scientifica – rivolta al business – che ha fatto nascere un’altra partnership, stavolta tra Google e Levi’s per lo sviluppo di una “giacca-tecnologica” destinata a ciclisti e pendolari. E che spinge sempre di più la commistione tra moda e tecnologia, al fine di rendere gli abiti non solo indossabili ma “interagibili”, assecondando le esigenze dell’utente medio degli smartphone. D’altronde qualcuno pensa ai microchip sottopelle!
Con quale sintesi? Soddisfare al meglio i bisogni umani, tra convenienza e sicurezza, con tanta scienza e, forse, un poco di filosofia per immaginare il futuro.
 
Qui il PDF

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *