Un nuovo sceriffo in città (prima parte). La transizione epocale tra la fine dell’era americana e l’inizio di quella cinese.

Dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi l’America è stata lo “sceriffo” del mondo. Nella mia personale analisi – che ho espresso anche ne Il potere è noioso, Baldini & Castoldi, 2016, scritto con “Herpes” (l’amico Michele Mengoli) – sono più gli aspetti positivi di quelli negativi nel suo lunghissimo “mandato”. Per diversi motivi – che ho approfondito anche negli ultimi due Forchielli della Sera – il ruolo degli USA nel mondo sta cambiando, non solo a livello di “gendarmeria” ma anche dal punto di vista economico. E altri “sceriffi stanno arrivando in città”.
Nel lungo periodo – intendo decenni – i candidati più probabili sono India e Cina. Manca loro lo zelo messianico di imporre i propri valori agli altri; che, se vogliamo fare un’analisi alta, magari alla Philip Roth, è il segno distintivo della tradizione giudaico-cristiano-islamica. Per gli USA il “soft power”, anche generato da Hollywood, tra sogni e ricchezza, ha avuto un ruolo sostanziale. Quello militare altrettanto. Le proiezioni dei modelli socio-economico-militari sino-indiani sul resto del mondo non sono equiparabili, però, nonostante tutto, tra i grandi popoli, sono quelli più in espansione in diversi ambiti. Gli indiani sono in procinto di superare i cinesi come popolazione, ma la loro economia vale un quinto. Hanno il controllo totale della regione ma, malgrado una storica influenza culturale su un’area ben più vasta, da lì non escono. In ogni caso il loro potenziale resta enorme, anche nell’ottica futuristica della governance globale, ma, scommettendo, la Cina è più forte. Soprattutto in Asia, come chiave del cambiamento. E se la nuova “Via della Seta” si avvererà nella portata immaginata dal governo cinese, non solo in Asia.
Nel 1978, Deng Xiaoping ha portato la Cina ad abbandonare il dogmatismo per adottare un approccio pragmatico e, seppure con evidenti varianti, sono seguiti tre decenni di emulazione del modello economico americano. Poi, dopo il crollo di Wall Street del 2008, con la crisi finanziaria e la recessione mondiale, tra Cina e USA è iniziata una relazione diversa, dettata da una parità economica e dalla crescente influenza cinese in Asia e sulla scena internazionale, ancora indecifrabile sul lungo periodo, dove non mancano tensioni sia commerciali sia militari per le scelte di geopolitica cinese sui suoi confini marittimi. Con un trend certo: la Cina sale e l’America scende. Soprattutto in Asia, scacchiere con 4,4 miliardi di abitanti che sta crescendo molto più velocemente rispetto alla media mondiale e con scambi commerciali in rapida trasformazione.
E da quando la Cina è entrata nel WTO, nel 2001, sappiamo come si comporta: disattende sistematicamente gli accordi, si muove fuori dalle regole, usa la sua forza con i più deboli, eccetera.
Giusto qualche esempio commercial-militare. Nel 2000 la Corea del Sud frena l’import di aglio dalla Cina e loro vietano l’import di cellulari coreani. Nel 2001 il Giappone limita l’import di funghi e paglia dalla Cina e loro riducono l’import di automobili e condizionatori giapponesi. Con entrambe le controversie risultate poi favorevoli alla Cina. Nel 2012 le Filippine muovono la Marina per far rispettare la territorialità sull’atollo di Scarborough Shoal e la Cina risponde chiudendo le sue acque ai pescatori filippini, sequestra la frutta in entrata e impedisce ai turisti cinesi i viaggi verso Manila. Nel 2016 la Mongolia accoglie la visita del Dalai Lama e la Cina blocca il transito dei mezzi pesanti per e dalla Mongolia. E attualmente fa pressione sulla Corea del Sud per il loro sistema di difesa missilistica Made in USA e mostra i muscoli a vario titolo con il Giappone e nel sud-est asiatico.
Segue e termina giovedì 25 maggio.
 
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