Amo Boston anche perché mi ricorda la Bologna di quando ero piccolo…
Tra le più importanti università del mondo, Harvard, il Massachusetts Institute of Technology e la Boston University, raccolte in un triangolo magico, come strette nelle mani l’una dell’altra, sommano il vero segreto del successo di questa città, che, per l’appunto, attraverso la scienza creata al suo interno, non ha eguali al mondo nel campo della ricerca: nanotecnologia, intelligenza artificiale, machine learning, biotecnologia, energie sostenibili, scienza medica… lo sviluppo di questi ambiti, che si svolge proprio qui, detterà il passo del futuro.
Tutto ciò è magnifico perché è un processo che non si chiude in se stesso, ma si apre e accoglie. Sia professori affermati che giovani talenti arrivano da tutto il mondo, grandi imprese aprono qui i loro centri di ricerca, piccole imprese, nate tra i laboratori universitari, si insediano nelle nuove strutture che sorgono come funghi. Perché l’habitat è unico. Con fondi federali del NIH (National Institute of Health), della DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), del NSF (National Science Foundation), del DOE (Department of Energy) che scorrono copiosi e che si possono stimare ragionevolmente tra i 4 e i 5 miliardi di dollari per anno! Un’enormità di denaro che si somma ai fondi provenienti da fondazioni private e università stesse, anch’essi nell’ordine di centinaia, se non migliaia di milioni di dollari annui.
E la città, anche per questo, è sempre più bella, nel suo mix inconfondibile tra edifici storici e moderni. La General Electric sposterà il suo quartier generale nel nuovo e avveniristico quartiere di Seaport, di fronte al porto, riconvertendo gli antichi magazzini di stoccaggio. I palazzi di South Boston, zona popolare, pericolosa e infrequentabile fino a qualche anno fa, ora sono ammodernati e accolgono nuovi scienziati. Mentre i prezzi di case e appartamenti sono alle stelle e continuano a salire (ormai Boston è più cara di New York), per una corsa sfrenata che fa impallidire persino i prezzi della Silicon Valley.
Chi ha la fortuna e la bravura di lavorare qui – scienziati, manager e professori – rappresenta una figura professionale richiesta su scala planetaria, che può negoziare il proprio stipendio al pari di un atleta professionista in auge e quindi può chiedere il meglio – ottenendolo – per sé e per i propri figli. La disoccupazione è inesistente. La domanda di personale qualificato è cronicamente superiore all’offerta. E nemmeno la crisi di Wall Street del 2008/2009 ha interrotto la corsa di Boston verso il futuro.
Con lungimiranza, le istituzioni hanno scartato la possibilità di ospitare le Olimpiadi, considerandole come un giocattolo già vecchio, inutile, che distoglieva le attenzioni sulle cose serie, ovvero sulla nuova rivoluzione tecnologica rappresentata dallo sviluppo delle materie sopra elencate.
E chi, come il sottoscritto, non ha mai studiato scienza, chimica e fisica, cerca un posto in tribuna per assistere da vicino alla corsa e afferrare qualche concetto. E dopo corre giù, in “sala scommesse”, e punta su tanti “cavalli”, forse un po’ a caso, contando soprattutto sull’intuito, sperando nella fortuna, per tornare a casa con la puntata vincente, come quando da bambino andavo all’Arcoveggio – l’ippodromo di Bologna – a origliare i suggerimenti del mitico Brini e poi correvo a puntare 500 lire.
Per vincere o anche solo per partecipare, almeno un po’, al mondo che verrà.
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FORCHIELLI DELLA SERA
Il mondo che verrà. A Boston c’è già (ovvero il meglio della ricerca scientifica mondiale).
Alberto Forchielli30 Marzo 20170
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