Un nemico chiamato Stato (parte seconda). Esportatori abituali, il paradosso del software inutilizzabile

C’è un seguito ancora più paradossale al “Forchielli della Sera” dello scorso 19 gennaio, intitolato “Un nemico chiamato Stato. Nuove regole – sempre più complicate – per gli esportatori abituali”, dove un amico imprenditore segnalava l’assurdità del nuovo modello per la dichiarazione d’intento (per acquistare o importare beni e servizi senza applicazione dell’Iva), in vigore dal primo marzo 2017.
Riepilogando brevemente la questione, fino allo scorso 28 febbraio vi era la possibilità di emettere tale dichiarazione indicando semplicemente il periodo in cui si effettuavano le operazioni, con l’importo massimo da indicare che era relativo agli acquisti che l’azienda poteva effettuare da tutti i propri fornitori. Mentre con il nuovo modello questa possibilità viene eliminata a favore di altre due opzioni: si specifica la singola operazione a cui si riferisce la dichiarazione indicando il relativo importo oppure si indica un importo massimo fino a concorrenza del quale si intendono effettuare acquisti senza Iva dall’operatore economico al quale si presenta la dichiarazione.
Nello specifico, la nuova risoluzione indica che l’esportatore abituale deve fissare all’inizio di ogni anno un importo massimo di acquisti per ogni singolo fornitore, tenendo sotto controllo non solo di non superare nel totale degli acquisti senza applicazione dell’Iva il plafond – com’era fino al 28 febbraio – ma anche di non superare gli importi indicati per ogni singolo fornitore. Con il risultato che la nuova legge comporta grossissimi problemi pratici per le aziende. Difatti come possiamo determinare in anticipo quanto pensiamo di acquistare dai singoli fornitori nel corso di un anno? Inoltre le aziende si trovano a dover gestire il controllo del superamento dell’importo prefissato con grandi difficoltà.
Detto ciò, il seguito rientra nella classica categoria – “classica” per il nostro Paese – del “danno oltre la beffa” e ce la segnala ancora lui, l’amico imprenditore che ha evidenziato l’inghippo iniziale.
Il reparto amministrativo della sua azienda ha lavorato secondo le nuove istruzioni, ha controllato il plafond e ha preparato tutto per tempo, ossia per mandare le PEC con i relativi dati aziendali all’Agenzia delle entrate entro il primo di marzo.
Le PEC, però, sono state tutte rifiutate.
Vi chiederete voi, per quale motivo?
Perché l’Agenzia delle entrate non aveva ancora il software adatto a ricevere questi dati (software disponibile solo dal primo marzo, ultimo giorno utile per l’invio della dichiarazione).
Da un lato, l’Agenzia delle entrate ha predisposto i nuovi modelli per presentare la dichiarazione per via telematica. Dall’altro lato, un’azienda seria, per tempo, ha fatto modificare il proprio software amministrativo affinché potesse trasmettere per via telematica i nuovi moduli, con la sorpresa – o meglio, con la beffa dopo il danno – che il software dell’Agenzia delle entrate non è ancora pronto a ricevere i nuovi moduli.
Quindi, a qualche settimana dalla scadenza del primo di marzo, che si è deciso di fare? Ovvio, il solito papocchio all’italiana. Confindustria ha detto di usare i vecchi moduli piuttosto che aspettare l’ultimo giorno sperando nell’aggiornamento del software. E anche l’Agenzia delle entrate, messa sotto pressione, ha detto lo stesso… Peccato che se un’azienda – seria – ha modificato tutto il suo software per trasmettere i nuovi modelli per tempo… come fa a usare quelli vecchi?
Insomma, siamo dinanzi al solito “Sistema Italia” che si può riassumere così: ti faccio le regole (per di più sempre penalizzanti) e poi non ti metto nelle condizioni di poterti (semplicemente) adeguare.
E come quando il giornale satirico “Cuore”, a fronte dell’ennesimo nuovo governo uguale al precedente, propose lo stesso titolo (“Avete la faccia come il culo 2”), anche qui riproponiamo un tanto drammatico quanto frustrante: Un nemico chiamato Stato (parte seconda).
 
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