Mentre Donald Trump e Hillary Clinton hanno entrambi vinto le rispettive primarie in Missouri – a dire il vero, tutte e due sul filo di lana – il quadro che emerge nella corsa per diventare il prossimo inquilino della Casa Bianca assume tinte degne di “House of Cards”, la celebre serie televisiva statunitense che segue le vicende del diabolico Frank Underwood, interpretato con sublime maestria dal grande Kevin Spacey.
Andiamo per gradi e vedrete che non esagero, con questa premessa: la democratica Hillary Clinton è ormai la grande favorita per la presidenza. Su questo nessuno ha più dubbi. Come si dice spesso in Italia, si “tureranno il naso” e la voteranno anche quelli che non l’hanno mai amata né come senatrice, né come first lady né tantomeno come segretario di Stato. Voteranno per lei, con le dita a stringere forte il naso, anche quelli che la considerano la rappresentante dei poteri forti e, soprattutto, il terminale politico degli “squali” di Wall Street. Per colpe sue e del marito Bill Clinton. Colpe che per molti hanno generato le falle legislative che hanno portato alla drammatica crisi del 2008-2009 e alle enormi diseguaglianze economiche dell’America odierna. La voteranno, tappandosi le narici ben strette, anche coloro i quali – va detto, giustamente – sono rimasti indignati di fronte all’uso dell’e-mail personale (anziché usare quella ufficiale del dipartimento di Stato). Perché evidentemente non è stata una semplice leggerezza, bensì una mossa degna di Frank Underwood per evitare imbarazzanti tracce sui server di Stato di vent’anni di strategie politiche magari anche poco ortodosse. Mosse che, in sostanza, hanno privilegiato l’ambizione personale rispetto alla sicurezza del Paese.
Nonostante ciò perché Hillary Clinton è la grande favorita per la presidenza?
La risposta è semplice. Perché i due candidati forti alla leadership repubblicana sono molto peggio e contro di lei perderanno di sicuro. Difatti, se Trump è un multimiliardario fanfarone, razzista e misogino, contro l’aborto, pronto a bombardare una mezza dozzina di Paesi e a innalzare muri ai confini con il Messico, Ted Cruz, se possibile, è anche molto peggio, essendo religiosamente oltranzista, ancora più razzista e reazionario e più dannoso in politica estera. Anzi, pensando alle idee pericolose, quasi da Ku Klux Klan, di Cruz, Donald Trump nel confronto ne esce quasi dignitosamente, come una brutta copia di Reagan. Perciò, con loro, i repubblicani saltano dalla padella alla brace.
Allora, come ho scritto all’inizio, perché il quadro delle elezioni USA assume tinte degne di “House of Cards”? Perché è lo stesso partito repubblicano che è consapevole della sconfitta di entrambi i suoi candidati contro la Clinton. Perciò ecco arrivare la campagna pubblicitaria diffamatoria – a suon di milioni di dollari – contro Trump-Cruz attuata dallo stesso partito repubblicano per delegittimare entrambi e arrivare alla convention di luglio senza un vincitore definitivo.
A quel punto, in puro spirito da convegno democristiano degli anni d’oro (si fa per dire), punteranno su un Leone, su un Goria a stelle e strisce. Ossia punteranno su un terzo nome di comodo, rappresentato da John Kasich, il governatore dell’Ohio, un vero conservatore – anch’egli favorevole alle armi e contrario all’aborto tanto per dire – ma che rispetto al duo Trump-Cruz appare più competitivo nella sfida finale contro Hillary Clinton. Insomma, altroché gli intrighi del potere di “House of Cards”!
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