Fra le immagini più recenti dell’Africa due in particolare colpiscono l’immaginazione , illustrando con vivace impatto visivo come il continente abbia recepito in pari misura tanto il bene quanto il male che possono pervenirgli dal mondo industrializzato. La prima e’ la foto del pastore Masai appoggiato alla sua lancia e drappeggiato nel tradizionale mantello rosso dei guerrieri che parla nel suo telefono portatile. La seconda invece quella di un gruppo di Mursi della valle dell’Omo , completi di gonnellino di paglia e cicatrici tribali , che scherzano e chiacchierano tranquillamente , mentre ciascuno mantiene ben a portata di mano il proprio Kalashnikoff. Progresso ed armi , balzo in avanti e nel medesimo tempo rischio di una accresciuta barbarie , vita e morte , speranza e regressione….in quelle foto ci sono tutte le contraddizioni di un continente ancora in attesa di un decollo che sembra sempre sul punto di avverarsi per rivelarsi poi all’ultimo minuto più lontano di quanto non apparisse. Ed in effetti , al di la’ di qualche avvenimento o sintomo sporadico , sufficiente se non altro a mantenere in vita una speranza ma troppo esile per innescare un trend decisamente positivo , il quadro complessivo dell’Africa non può mancare di generare pessimismo e sconforto .
Il problema delle frontiere artificiali , disegnate dalle potenze coloniali sulla base di calcolati equilibri di potenze assolutamente estranei alle realtà locali , rimane irrisolto nonostante il modo in cui le guerre che hanno portato alla separazione del’Eritrea dall’Etiopia , alla nascita del Sud Sudan ed alla spartizione della Somalia in tre Stati distinti hanno chiaramente evidenziato il pericolo derivante dall’assurdo principio secondo cui “le frontiere della decolonizzazione debbono rimanere intoccabili” . Continua in pari tempo lo sfruttamento dell’Africa da parte dei paesi industrializzati che da un lato tendono ad utilizzarla come serbatoio di materie prime , dall’altro la invadono di prodotti a basso costo , impedendo così la nascita di complessi industriali autoctoni. In tempi recenti si è poi aggiunto a tutto ciò anche il land grabbing cinese ed arabo che sottrae ai miseri anche la più sacra delle ” res sacra miseris” , la terra. Le cinque malattie più mortali della umanità , malaria , tubercolosi , febbre gialla , colera ed aids imperversano ancora nel continente , con tassi di mortalità altrove sconosciuti mentre nuovi virus , come ebola , appaiono di tanto a terrorizzare l’Africa ed il mondo. La guerra , il terrorismo e l’insicurezza fanno nel contempo la loro parte con un fuoco che in questo momento investe tutta la regione araba e quella sahelica del continente, coinvolgendo altresì buona parte degli stati del Golfo di Guinea . Altrove la situazione appare in via di miglioramento ma considerate le passate ricorrenti esplosioni della instabilità congolese vi è veramente da interrogarsi sulla possibile durata dell’attuale momento di calma.
La reazione a queste piaghe ormai croniche continua a rimanere del tutto insufficiente. Localmente a causa di elites per cui l’impreparazione è regola , la corruzione stile di vita , l’eternizzazione del potere la massima aspirazione , per cui lo stato finisce con l’essere considerato , e vissuto! , quasi come una proprietà personale. Su uno scenario piu’ ampio contribuisce ad aggravare questo stato di cose anche il modo in cui Unione Europea ed Africa si sono progressivamente allontanate negli ultimi anni , mentre l’influenza che la prima esercitava nella seconda veniva progressivamente sostituita da legami più stretti con i paesi arabi e l’estremo oriente. Non e’ per niente un caso il fatto che le rivoluzioni della primavera araba abbiano sostituito tutti e solo i governi africani che più erano prossimi all’Europa e più si ispiravano alle sue forme di democrazia. Da noi per contro era divenuto quasi totale il disinteresse per la parte nera del continente africano , che sembrava avviato – almeno prima dell’arrivo dei migranti – a divenire terra dimenticata . Si era giunti al punto che per avere notizie di quanto succedeva a Sud del Sahel occorreva comprare “L’osservatore romano” , quotidiano non italiano anche se redatto nella nostra lingua. Ora pero’ e’ tempo di una decisa inversione di rotta , anche perché tanto sull’Africa quanto su di noi pende la spada di Damocle della folle fertilità della donna africana che se non contrastata aprirà la prospettiva di un futuro da incubo costellato da sovraffollamento , insufficienza delle risorse , migrazioni di dimensioni bibliche , potenziali rovinosi conflitti. È bene quindi che la strada di una stretta e fattiva collaborazione venga ripresa al più presto : né oggi né domani ma ieri , se ciò fosse possibile!
Il Santo Padre sembra averlo perfettamente compreso in uno di quei momenti di intuizione profetica che la Chiesa Cattolica ha di tanto in tanto nei suoi attimi migliori . Ha reso inoltre palese il proprio pensiero decidendo che la prima Porta Santa si apra quest’anno a Bangui , nella Repubblica Centro Africana. Cosa aspettiamo dunque a comprendere anche noi?
Alberto Forchielli
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