… Lei è accusato di essere un po’ troppo morbido con i russi. In particolare con Putin. «Duro o morbido non sono concetti politici. Puoi essere duro se ti conviene, o morbido se ti conviene; non puoi fare il duro se te ne vengono solo danni. Isolare la Russia è un danno. Il problema è avere chiara l’idea di dove devi arrivare. Se vuoi che l’Ucraina non sia membro della Nato e dell’Ue, ma sia un Paese amico dell’Europa e un ponte con la Russia, devi avere una politica coerente con questo obiettivo. Se l’obiettivo è portare l’Ucraina nella Nato, allora crei tensioni irreversibili».
Romano Prodi, lo scorso 26 maggio, è stato intervistato da Aldo Cazzullo. Senza offesa per Renzi e Salvini, ma abituati alle loro analisi, ci è bastata una paginata sul Corriere della Sera di sue considerazioni sull’attualità italiana e internazionale per capire tanta roba.
In Spagna invece vincono movimenti civici. Non è detto sia un segno negativo. «È vero. Lì è in corso una rivoluzione politica, contro i vecchi partiti più che contro l’Europa. Il governo popolare è obbediente alla linea tedesca; e il popolo gli si rivolta contro, a cominciare dalle grandi metropoli, che danno il tono al Paese. Ma sono davvero troppi in Europa i segnali di disgregazione; non da ultimo il referendum britannico, lo spettro dell’uscita di Londra. E se si leva un vento di disgregazione, non lo ferma nessuno».
Il vento soffia da Atene. «Tanto tuonò che piovve. È ormai chiaro che la Grecia tanti soldi da pagare non li ha. Lo sapevano tutti. Il 25% dei greci è disoccupato, il reddito è crollato molto più di quanto si attendessero i fautori dell’austerity. La Grecia non ha lo sfogo dell’export che ha l’Italia, la Grecia esporta meno della provincia di Reggio Emilia; vive di noli marittimi, un po’ di cemento, un po’ di turismo; se crolla il reddito interno, crolla tutto. È stato un braccio di ferro in cui ognuno ha pensato che l’altro cedesse; invece per salvarsi ognuno dovrebbe cedere qualcosa. Se la Germania fosse intervenuta all’inizio della crisi, ce la saremmo cavata con 30-40 miliardi; oggi i costi sono dieci volte di più».
Tsipras e Varoufakis non hanno colpe? «I greci hanno mostrato una sbruffoneria che ha mal disposto i negoziatori. Ho notato un’irritazione progressiva nei loro confronti, man mano che usavano parole violente. Tirare fuori il nazismo non ha aiutato. Schaeuble non lo puoi prendere in giro. Purtroppo lui può prendere in giro te, perché è forte. Ma sentire i soliti pregiudizi sulla pigrizia mediterranea è un altro segno di disgregazione».
Alla fine la Grecia uscirà dall’euro? «Siamo alla canna del gas. Ma c’è ancora lo spazio per un accordo. A due condizioni: che sia chiaro; e che sia subito. Non è più possibile un altro rinvio. Si può ancora arrivare a un mezzo default, con la Grecia che ottiene l’allungamento dei termini e la ristrutturazione del debito, che non potrà essere rimborsato per intero, ma in cambio accede ad alcune richieste: neppure le promesse elettorali di Tsipras potranno essere mantenute per intero» .
Se salta la Grecia, si sente dire, la prossima è l’Italia. C’è un rischio contagio, come paventa ad esempio Luigi Zingales? «Non ci sono le condizioni oggettive per il contagio. Il bilancio italiano è sotto controllo, i tassi sono bassi, si intravede la ripresa, sia pure debole. Zingales ipotizza un panico, con i capitali che fuggono. E la miccia del panico è l’incertezza. La speculazione si nutre di incertezza. Nessuno specula su un Paese se sa già che non viene abbandonato dagli altri».
Rispetto al 2011, abbiamo Draghi e il quantitative easing. «E’ vero: sul versante finanziario abbiamo eretto una difesa. Ma sul versante delle decisioni politiche siamo sguarniti come e peggio di prima».
Nel libro scritto per Laterza con Marco Damilano, “Missione incompiuta”, lei sostiene che proseguendo su questa strada l’Europa andrà a pezzi. Nel frattempo abbiamo fatto altri passi sulla strada sbagliata? «Sì. L’Europa non ha più politica, né idee; ha solo regole, aritmetica. Quando definivo “stupido” il patto di stabilità, sapevo che si sarebbe arrivati a questo punto. Non si governa con l’aritmetica. Junker ha annunciato il suo piano di investimenti nove mesi fa. Il tempo in cui nasce un bambino. Ma non si è ancora visto nulla».
… Allora l’Europa è davvero alla canna del gas? «Ho fiducia in un fatto: ogni volta che l’Europa è arrivata sull’orlo del baratro, ha avuto un colpo di reni, uno scatto di nervi. Quando si capisce che è in gioco tutto, scatta un allarme collettivo».
La Merkel ha la statura per imporre la svolta? «Questo lo vedremo. Di sicuro ne ha la forza. La Germania non può prendersi la responsabilità storica che l’Europa si slabbri».
Renzi come si sta muovendo? «Di richiami alla solidarietà europea ne ha fatti, ma non si vede una politica alternativa a quella di Berlino. Eravamo un’Unione di minoranze; ora siamo un’Europa a una dimensione, quella tedesca. Ho sperato a lungo che Francia, Spagna e Italia trovassero una linea comune. Non ci sono riusciti, perché ogni Paese credeva di essere più bravo dell’altro; in particolare la Spagna e la Francia pensavano di essere più brave dell’Italia. Il voltafaccia di Parigi sugli immigrati è clamoroso: l’Europa ha annunciato un accordo, e l’ha disatteso sei giorni dopo. Almeno Cameron ci ha presi in giro fin da subito: ha offerto le sue navi per il salvataggio dei profughi, a patto che restassero tutti in Italia».
Dobbiamo prepararci a un intervento contro l’Isis? «No, no, no. E’ proprio quello che l’Isis vuole: attirare soldati occidentali nella guerra civile islamica, per farne un bersaglio e rinfocolare la popolazione. Se poi sono soldati italiani, di un’ex potenza coloniale, meglio ancora per l’Isis, e peggio ancora per noi».
Allora dobbiamo abbandonare la Libia ai tagliagole? «Il fatto che in Libia ci siano più governi dipende soprattutto dai governi stranieri che li appoggiano. Il governo di Tripoli si regge su Turchia e Qatar, quello di Tobruk su Arabia Saudita ed Egitto; che a loro volta dipendono dagli Stati Uniti, dalla Russia e indirettamente dalla Cina. Se le grandi potenze trovano un accordo, l’Isis finisce in un giorno. Se le grande potenze usano il Medio Oriente per il loro grande gioco, l’Isis prospererà».
Alberto, ti è piaciuta l’intervista a Prodi? “Fantastica. Basta prendere questa pagina e si possono buttare nel camino tutti i giornali italiani usciti nel mese precedente. Illazioni, pettegolezzi, polemiche… tutto tempo perso, spazzato via dalle parole di Romano, dalla sua analisi che schiaccia tutte le altre. Non vale neanche la pena di leggere la paginetta di Scalfari, con Prodi capisci tutto al volo. È un gigante.”
Lo hai sentito? “Ho letto l’intervista e l’ho chiamato subito. In privato è meglio ancora perché è senza filtri. Al Corriere ha dato gli avanzi. Quando non l’hanno eletto presidente della Repubblica ho fatto i salti di gioia perché sarebbe stato un inferno sentirlo di rado con tutti gli impegni istituzionali che avrebbe avuto. Più lo chiamano Mortadella è meglio è perché così lui ha più tempo da dedicarmi. Poter parlare con lui mi fa sentire unico. È un privilegio incredibile essergli amico. Tutte le volte che ci sentiamo al telefono o che ci vediamo io gli faccio perdere la voce. Lo interrogo su tutto, lo torturo come quelli della Stasi. Parlare con lui è l’intervista del Corriere moltiplicata per cento.”
Lo stesso giorno dell’uscita dell’intervista, Prodi ha incontrato a casa sua Joe Tacopina, il presidente del Bologna FC. Tacopina ha detto che Prodi è l’uomo più importante di Bologna e Prodi ha ribattuto che è rimasto impressionato dall’entusiasmo del mitico Joe e dalla sua capacità di aggregazione. Con Prodi hai parlato anche dell’incontro con Tacopina? “Sì, devi sapere che Prodi è una persona molto guardinga. È sempre molto attento a chi frequenta dopo tutti i licaoni della politica che ha dovuto incontrare negli anni passati e all’inizio era scettico su Tacopina perché non era a conoscenza di chi ci fosse dietro all’acquisto del Bologna. Perciò Tacopina era riuscito a incontrare tutti, dal sindaco al vescovo, ma non Romano. Poi quando è venuto fuori che i soldoni ce li metteva Joe Saputo e che l’operazione condotta da Tacopina era super-seria c’è stato il disgelo e anche quell’incontro piacevole per entrambi.”
Forchielli intervistato da Michele Mengoli per Oblòg (5 Giugno 2015)
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