Ma così la fiducia nella leadership americana è a rischio

Gli avanguardisti trumpiani, partiti baldanzosamente all’assalto della globalizzazione – dalle roccaforti abbarbicate tra le alture della fisiocrazia hillbilly e la cinta daziaria neo-mercantilista – si leccano le ferite riportate nel tragico (per loro) certame con Wall Street e i bond vigilantes. Ad ogni dollaro di deficit nella bilancia dei pagamenti fa da contrappeso un dollaro di investimenti dall’estero. Si tratta di una identità che vale per ogni Paese e in ogni periodo storico. Pertanto, quando si prova a manomettere, in modo tanto caotico quanto rozzo, i complessi ingranaggi del commercio internazionale, le ripercussioni travolgono impetuosamente i mercati dei capitali.

Da oltre un secolo i dollari e i Treasuries assicurano liquidità al mondo grazie alla fiducia che ispirano le dimensioni dell’economia americana, il suo sistema legale e la sua potenza militare. Dopo il crollo del sistema di Bretton Woods nel 1971, nessun presidente americano aveva osato anche solo pensare di stravolgere nuovamente l’architettura finanziaria globale.

Nel 1971 John Connally, segretario al Tesoro di Nixon, ad una riunione dei ministri delle Finanze  del G10 a Roma affermò sconsideratamente: «Il dollaro è la nostra valuta, ma è un vostro problema», le conseguenze nefaste si protrassero per oltre un decennio tra shock petroliferi, stagflazioni e umiliazioni cocenti in Vietnam e in Iran.

Un’esperienza ustionante evidentemente ignota agli apprendisti stregoni invasati, arrivati col carro di Tespi trumpiano, in preda ad un irreprimibile cupio

dissolvi protezionistico. I dazi globali imposti con intenti punitivi sui parassiti “che approfittano degli Usa” rovineranno irrevocabilmente la credibilità degli Stati Uniti sia come partner commerciale, che come sistema Paese affidabile, persino per gli alleati più stretti, dal Canada ad Israele, dal Regno Unito alla Corea del Sud. Gli Stenterelli MAGA, nerbo del trumpismo di ritorno, stentano a discernere l’importanza di un fondamentale elemento

immateriale: la fiducia nella leadership, nella governance e nella superiorita’ del modello americano. Una fiducia che apporta all’America straordinari benefici in termini di signoraggio, di finanziamento del debito pubblico, di influenza sull’economia mondiale, di prestigio diplomatico e di attrazione dei capitali.

Lo sfrontato impulso autarchico è esacerbato dal malcelato assoggettamento di Trump e Vance a Putin e dal plateale r i p u d i o dell’articolo 5 della Nato. Infatti, l’economia americana sarebbe immune dagli effetti di un allargamento o un’intensificazione della guerra in Europa che scatenerebbe una recessione anche oltre Atlantico.

Solo una moltitudine di fanatici isolazionisti non comprende che il proprio benessere si fonda sulla leadership che Washington proietta sull’Occidente allargato e sulla sicurezza che garantisce. Di fronte a decisioni autolesioniste annunciate solennemente e grottescamente rimangiate o rinviate con sconcertante nonchalance e sprezzo del ridicolo, gli investitori saggiamente si mettono al riparo dai capricci del Trump travicello scaricando azioni e obbligazioni a stelle e strisce in un frangente critico. Lo Zio Sam si accinge a rifinanziare oltre 7,5 trilioni di dollari tra titoli in scadenza nel 2025, quantitative tightening, e nuove emissioni a copertura del deficit aggiuntivo, stimate in circa 1,5 trilioni. Come se non bastasse, per aggravare la fuga dal dollaro, Trump ha estratto dal repertorio degli autocrati netti un’altra classica pagliacciata in cui esibirsi nel bel mezzo di una crisi finanziaria, innescata dalla fuga di capitali: l’attacco (a la Erdogan) contro i vertici e l’indipendenza della banca centrale. Nelle valutazioni degli investitori tale irruento scontro istituzionale si traduce in aspettative di inflazione fuori controllo e quindi di prezzi dei Treasuries in ulteriore, incontrollabile derapata. Per le moltitudini indebitate di elettori con reddito medio basso, soggiogati dalle fallaci promesse di Trump, l’impennata dei tassi si materializza come rate del mutuo più salate, pagamenti più  gravosi sui debiti delle carte di credito e leasing di autovetture più oneroso. Questi dolorosi effetti sui redditi dello zoccolo duro MAGA susciteranno a breve poderosi contraccolpi politici, già ampiamente percepibili nella media dei sondaggi di RealClear Politics sull’approvazione del Presidente.

Il dollaro e i mercati americani erano il porto più sicuro durante le tempeste finanziarie. In meno di tre mesi sono diventati l’occhio del ciclone.

Il nuovo articolo scritto a 4 mani con Fabio Scacciavillani e pubblicato su Il Sole 24 Ore, 24 aprile 2025