Per comprendere il nuovo assetto economico globale bisogna districarsi in quel coacervo di paradossi che è la storia della Cina a partire dagli anni 30.
A cominciare dalla Grande Marcia – tra il 16 ottobre del 1934 e il 22 ottobre 1935, una fuga disperata delle milizie comuniste per sfuggire alle armate di Chiang Kai- shek, iniziata con 130mila uomini (e le loro famiglie) e conclusasi dopo 12mila chilometri e 90mila morti. Ma che in pochi anni si trasformò in una duplice vittoria sotto la guida di Mao. Prima sui giapponesi (che avevano invaso la Cina a partire dalla Manciuria nel 1931) e poi nella guerra civile contro i nazionalisti del Kuomintang costretti a rifugiarsi a Taiwan nel luglio del 1949. Una vittoria talmente strabiliante che a Yalta non la si era nemmeno ipotizzata. In quegli anni i paradossi abbondarono.
Stalin, al termine della Seconda Guerra Mondiale, era più incline ad appoggiare i nazionalisti, perché non era entusiasta che emergesse un poderoso rivale nel mondo comunista. Gli Stati Uniti non erano visceralmente ostili ai maoisti, di cui si erano serviti contro il Giappone, tanto che nel novembre 1945 il generale Marshall fu inviato a Nanchino per instaurare un negoziato tra nazionalisti e comunisti.
Tuttavia, fallita la pacificazione, a fine 1946 gli Stati Uniti presero a sostenere strenuamente il Kuomintang nella guerra civile, ma senza riuscire ad impedirne la disfatta. Ciononostante (altro paradosso) tra la primavera e l’estate del 1949 la leadership maoista offrì a Washington di instaurare relazioni diplomatiche, economiche e commerciali.
Tale realismo (l’indifferenza al colore del gatto abile ad acchiappare i topi), se assecondato con la concessione di crediti e assistenza tecnica avrebbe potuto portare la Cina fuori dall’orbita sovietica.
Ma in America, dove Truman era quotidianamente vilipeso per la sua ignavia verso l’Urss, montava l’ossessione per il comunismo. La pietra angolare della politica estera dal 1946 al 1950 divenne il containment. Quando Mao, il 1° ottobre del 1949, proclamò la Repubblica Popolare i Qanon dell’epoca diffusero la calunnia che nell’amministrazione Truman si cospirasse in appoggio ai comunisti cinesi.
Insomma le atmosfere tossiche sulle rive del Potomac obliterarono l’opportunità di compiere quell’audace mossa del cavallo che il pragmatismo cinese avrebbe propiziato. La firma del trattato di amicizia,
alleanza e assistenza reciproca con l’Urss il 14 febbraio 1950 e poi lo scoppio della Guerra di Corea nel giugno del 1950 portarono la Cina in rotta di collisione con gli Usa. Prima che Washington riaprisse un canale con Pechino dovettero passare oltre due decenni di disastri epocali: il genocidio dei proprietari terrieri, il Grande Balzo in Avanti, la Rivoluzione Culturale, il Vietnam.
Nel frattempo emerse un altro paradosso. Tra le due potenze atomiche comuniste divamparono furibonde divergenze ideologico-politiche in seguito alla destalinizzazione (che Mao riteneva un errore) e culminarono nel 1969 in una guerra per le dispute sul confine dell’Ussuri. Nel 1971, solo un falco anticomunista come Nixon, poteva sfruttare la situazione senza essere accusato di appeasement verso la Cina. Mao aveva scatenato le Guardie Rosse contro i nemici interni nel Partito Comunista, in primis Deng Xiaoping e il Presidente della Repubblica, Liu Shaoqi, decisi a defenestrarlo. Ma le faide interne non si erano placate e l’economia era allo stremo. Il 13 settembre 1971 moriva in un incidente aereo, tuttora avvolto nel mistero, Lin Piao, che la Costituzione designava come erede del
Grande Timoniere. Al vertice consolidò il potere la Banda dei Quattro, capeggiata da Jiang Qing, terza moglie di Mao.
La “diplomazia del ping pong” e l’incontro tra Nixon e Mao il 21 febbraio 1972, scaturì da due debolezze. Nel cimitero economico regredito al baratto, il potere ed il prestigio di Mao traballavano. Nixon stava perdendo il Vietnam, l’America Latina era un calderone di guerriglie anti-yankee, il crollo del sistema di Bretton Woods aveva inferto una clamorosa batosta all’economia e al prestigio internazionale, degli Usa. Al fine di bloccare la spirale inflazionistica Nixon impose il blocco dei prezzi e dei salari, una misura da tempo di guerra o da economia pianificata.
La normalizzazione delle relazioni con la Cina in chiave anti-sovietica mondarono (per poco)
la sfilza di fallimenti.
Quella normalizzazione forse determinò un ulteriore paradosso: Mao nel 1975 buttò alle ortiche la cricca di sua moglie e appoggiò la restaurazione moderata guidata da Zhou Enlai (prossimo alla morte) e del politicamente redivivo Deng Xiaoping. Nel 1976, appena imbalsamato Mao, i membri della Banda dei Quattro furono arrestati e processati.
Per alleviare gli stenti di un miliardo di esseri umani che si dibattevano nell’angoscia per procurarsi il cibo quotidiano, Deng non aveva altra strada che introdurre incentivi di mercato nell’agricoltura e poi nel resto del sistema economico.
Fu così che iniziò quasi in sordina la Seconda Rivoluzione Cinese le cui conseguenze hanno travolto il mondo, come vedremo nel prosieguo.
Il primo di una serie di tre articoli, scritto a 4 mani con Fabio Scacciavillani, pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 15/04/2021 (QUI la versione in PDF)