L’opinione dell’economista Alberto Forchielli in quarantena a Imola
Con il Coronavirus che imperversa ormai in ogni parte del mondo, Alberto Forchielli, abituato a vivere tra Stati Uniti, Cina e Thailandia, ha scelto la sua Imola. Stavolta, infatti, l’economista ci risponde dal suo buen retiro sulle colline appena fuori città. «Anch’io sto facendo la quarantena – dice con una battuta -. Non posso più andare al ristorante a mangiare il castrato…». Gli chiediamo cosa ne pensa di quello che sta accadendo in Italia e nel mondo.
Il Governo è arrivato a far chiudere le attività non essenziali, un provvedi- mento senza precedenti. Cosa significa questo per l’economia italiana? «La chiusura delle attività produttive è devastante. Le nostre imprese perderanno mercato e non riusciranno a riaprire per mancanza di liquidità. Mai provvedimento fu più deleterio, questa è la fine del sistema industriale italiano».
Una visione quasi apocalittica… «E’ apocalittico per il settore privato e per quello pubblico. A oggi, con le manovre annunciate, l’Italia farà un deficit del 5 per cento, quindi avremo un fabbisogno di circa 345 miliardi, che però per i due terzi sarà garantito dal recente intervento della Bce».
Quindi, dal punto di vista dei conti pubblici, possiamo stare tranquilli? «In teoria abbiamo scongiurato il default. Sono però molto preoccupato per la tenuta del settore produttivo, perché le imprese hanno di fronte mesi in cui non fattureranno, pur avendo lo stesso dei costi. E non c’è impresa, per quanto buona, che sia in grado di sopravvivere in condizioni simili. Il rischio è di trovarci alla fine dell’anno con milioni di cassintegrati, senza aziende che li possano accogliere. Uno scenario da tempi di guerra. Ci vuole quindi un pacchetto di aiuti per le imprese, ma devono essere garantiti dallo Stato, perché le banche non sono in grado di farlo, andrebbero esse stesse in bancarotta. Il Governo tedesco ha messo in atto un programma di garanzie pubbliche per finanziamenti alle imprese da 550 miliardi di euro, allo stesso modo la Francia (350 milioni) e la Spagna (200 milioni). Non credo che l’Italia possa esimersi dal mettere in campo un programma analogo, attraverso la Cassa depositi e prestiti. Da una prima stima si dovrebbero garantire almeno 250 miliardi di prestiti alle imprese, per sostenerle ed evitare che falliscano. Noi però non li abbiamo e questo spiega l’importanza per l’Italia di ricorrere al Mes (il Meccanismo europeo di stabilità, detto anche Fondo salva Stati, Ndr) e l’importanza di emettere degli eurobond, che possono dare finanza all’Italia senza pesare sul bilancio dello Stato».
A cosa dobbiamo prepararci? «La ripartenza sarà molto lenta, perché in Cina, a distanza di tre mesi, la gente non si può ancora spostare da città a città senza fare quarantene. É inimmaginabile pensare che di colpo si riapra, perché altrimenti di colpo si riattivano i focolai. Non solo sarà una ripartenza lenta, non solo ci sarà un rallentamento, ma si prospetta un terzo scenario, il peggiore, che è quello di una recessione globale».
Peggiore di quella del 2008? «Questa recessione ha una caratteristica in più. Quella del 2008 era di carattere finanziario e aveva inciso fortemente sulla domanda, mentre questa crisi pandemica incide drammaticamente anche sull’offerta. Quando le aziende non producono più, quando i clienti non vogliono più ritirare la merce, quando la gente non va più a lavorare, non c’è niente da fare: è inutile abbassare i tassi di interesse, aumentare la liquidità. I soldi nulla possono contro un virus, bisogna aspettare che faccia il suo corso e che le aziende riaprano. L’unica soluzione sono le cure e un vaccino».
Oggi la Cina da untrice sta diventando salvatrice del mondo, grazie agli aiuti inviati in Occidente. Cadrà in piedi anche stavolta? «É il colmo, no? Adesso la narrativa si sposta gradualmente sul fatto che la Cina sta diventando la salvatrice. Da come si stanno mettendo le cose è molto probabile che cada in piedi. Ed è una beffa del destino, che mi fa molta rabbia. Anche perché è la terza epidemia che la Cina ci regala in vent’anni».
Infatti, dopo aviaria e sars, ora il Coronavirus. C’entra per caso qualche laboratorio o è solo un caso? «È per via dell’esistenza di mercati dove popolazione e animali “strani”, come pipistrelli e zibetti, convivono a stretto contatto. La Sars, ad esempio, era trasmessa dallo zibetto. Il contatto tra animali e persone facilita il passaggio di questi virus, che si rivelano devastanti. L’abbiamo scampata due volte, stavolta no. Le epidemie cinesi non sono un “cigno nero”, eventi cioè del tutto imprevedibili. Era invece prevedibile, al punto che Bill Gates l’aveva predetto cinque anni fa. La Cina sarà sempre una fonte di sorprese per quanto riguarda l’aspetto ambientale ed epidemiologico. Il contrasto tra la civiltà moderna della città e la civiltà antica della campagna dà origine a tutti questi strani fenomeni nuovi, uniti al fatto che la popolazione è enorme. Per cui la Cina sarà sempre una fucina di nuovi virus».
Quindi non imparano neanche dagli errori già fatti? «Adesso sembra che abbiano bloccato la vendita di animali esotici vivi, la possibilità di far coesistere persone, animali vivi e macellati nello stesso posto. Ma non credo che sarà facile metterlo in pratica, perché la Cina è troppo avvezza a questo tipo di comportamenti, è ancora vicina ai retaggi del passato per riuscire a rompere certe abitudini».
Dal punto di vista sanitario, l’Italia come sta gestendo questa emergenza? «É inutile incensarci, stiamo facendo quello che prima di noi ha fatto la Cina. Anzi, noi abbiamo cominciato inciampando con il problema di Codogno, che ha poi creato il grande focolaio in Lombardia. Non sono tenero nei confronti di chi dice che siamo stati bravi a gestire l’emergenza. Posso però dire che la popolazione italiana sta reagendo molto bene, in modo molto civile e assennato. Su questo devo fare i complimenti agli italiani».
Mentre gli americani, nella stessa situazione, stanno facendo la fila per comprare le armi… «C’è un film del 2011, dal titolo Contagion, che descriveva cosa sarebbe successo in caso di contagio di un virus che veniva dalla Cina, appunto, e che poi degenerava in problemi di ordine pubblico. Negli Stati Uniti si prevede che il tasso di disoccupazione crescerà del 20 per cento, perché molti milioni di persone che lavorano nei settori dell’hospitality e del retail saranno lasciate a casa, senza reti di sicurezza come la cassa integrazione e questo può originare tumulti. In situazioni come queste è normale che l’americano corra al primo supermercato e poi al primo negozio di armi. Riaffiora lo spirito del cow boy che si arrangia da solo».
Intervista di Lorena Mirandola, pubblicata su Sabato Sera, Giovedí 26 Marzo 2020
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