Andare alle elementari a Bologna negli anni ’60 voleva dire parlare ovunque dei rossoblù che fecero l’impresa. «Nei corridoi di scuola, nell’intervallo, quando ci trovavamo fuori, non si parlava di altro, non esisteva altro perché l’epoca del basket doveva ancora arrivare. E quando non ne parlavamo, ci scambiavamo le figurine: quelle di Bulgarelli, Haller e Pascutti le più ambite».
Un’infanzia e un’adolescenza indissolubilmente legate ai colori rossoblù, quelle di Alberto Forchielli. Imprenditore di fama mondiale ed esperto di affari internazionali, da bambino la sua vita ruotava tutta attorno a quella squadra rimasta nel mito. Aveva otto anni quando il Bologna vinse lo scudetto: «Ascoltai la partita a casa mia in campagna, sul prato. Ricordo mio zio, il primo a introdurmi al calcio, con la radiolina all’orecchio. Ma ero già stato allo stadio, quella stagione, contro il Mantova: c’era la neve, loro avevano Zoff in porta». Il Bologna e il calcio come un leit motiv che percorreva tutte le giornate di Forchielli e dei suoi amici. «Allora non andavi a lezioni di piano o altro, prendevi un pallone e correvi a giocare al cortile», racconta. L’eroe di quegli anni era Bulgarelli, che viveva non lontano da casa sua, «lo vedevamo al bar; poi un giorno dal nostro calzolaio, che esponeva le scarpe in vetrina, notai le sue scarpe in esposizione, è un’emozione che ricordo ancora».
Non finì lì, però, perché un giorno Forchielli e un amico trovarono il coraggio di andare a bussare alla porta della famiglia Bulgarelli. «Credo ci aprì sua sorella, ci diede una sua foto autografata. Quando Giacomo è morto, per me è stata una tragedia pari al perdere un parente».
Poi sono arrivati gli anni dell’età adulta, l’abbonamento per tutti gli anni ’70, prima di andare a vivere all’estero e dover rinunciare per qualche tempo. «L’ho rifatto nei ’90, nell’anno della B di Marronaro e Pecci, poi son tornato a vivere lontano – spiega. Ma oggi, anche se passo la maggior parte del tempo in Asia e riesco a venire un paio di volte all’anno, l’abbonamento l’ho fatto lo stesso, anzi, ne ho fatti quattro: quello allo stadio, quello a Sky,
quello a Espn per vedere il Bologna dagli Usa e un canale streaming sul cellulare. Non ho ancora capito come fare a guardarlo anche dall’Asia».
Un giramondo che torna sempre ai tempi del campetto con gli amici, come quando a Singapore «mi sono commosso»: un fattorino malese aveva la maglietta del Bologna.
«Ah, e poi un’ultima cosa aggiunge Forchielli —, sono iscritto al club Distinti ma ostici e adoro Saputo, gli andrebbe fatta una statua».
L’intervista ad Alberto Forchielli pubblicata su “Bolognesi in 110 personaggi. Volti e storie di una passione infinita.”