Tutte le analisi anche quantitative confermano quanto diciamo da un bel po’. Il Midwest o gli stati del sud USA hanno oggi costi orari molto più vicini a quelli cinesi che vent’anni fa. Ma il problema non è solo il costo orario bensì la produttività, ovvero il costo della quantità prodotta x unità di tempo. Quindi investendo in tecnologie e digitalizzazione delle produzioni la produttività aumenta a beneficio potenzialmente sia dei salari che dei profitti. La sfida cruciale è trovare le competenze o nel caso esse non ve ne siano avviare un processo di formazione adeguato e funzionale ai bisogni di oggi e di domani. E nella suddivisione e nuova localizzazione delle supply chain che da globali diventano glocal, io sono convinto (paradossalmente) che per l’Europa e in parte anche per gli Usa, l’Italia e in particolare le regioni del sud potrebbero essere l’hub ideale x una nuova localizzazione degli investimenti produttivi che dal far east rientrano in occidente. Ma questa potenzialità è frustrata da una inesistente politica industriale nazionale. Bisognerebbe incentivare con una fiscalità opportuna gli investimenti produttivi e tecnologici e contestualmente ridurre il costo fiscale del lavoro. Creare hub formative connessi all’industria con le università come luogo di cultura industriale e di innovazione. Bisognerebbe infine copiare la Cina e il mitico Deng creando delle FTZ per attrarre i FDI a condizioni vantaggiose. Potremmo così diventare nuovamente attrattivi, dove deve essere chiaro però quali sono i nostri competitors/Paesi: non la Germania o la Francia, ma piuttosto la Polonia o la Romania o il Messico o anche il Tennessee o il Missouri. In questo cambiamento di scenario a livello globale il fattore tempo è decisivo ed è mortificante notare come il dibattito nazionale sia incentrato sul caso Diciotto o sulla TAV si o no. Il problema principe è soprattutto questo. Ed è il vero dramma nazionale.
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