Scoprire le “balle” di Trump, negli USA, è diventato uno sport nazionale. Stavolta è toccato a Bruce O. Riedel, ex funzionario pluridecorato della Cia, esperto di sicurezza nazionale USA, sud-est asiatico e Medio Oriente, di lotta al terrorismo, nonché noto saggista, senior fellow in Politica in Medio Oriente alla Brookings Institution di Whasington e professore alla The Paul H. Nitze School of Advanced International Studies della Johns Hopkins University, sempre nella capitale statunitense; in poche parole, un tizio che sa il fatto suo.
Un passo indietro. Ve ne avevo parlato nell’FdS dello scorso 30 maggio, che si apriva così: “Il primo viaggio ufficiale all’estero di Trump come presidente degli Stati Uniti d’America si è svolto in Arabia Saudita per il summit di fine maggio al King Abdulaziz Center di Riad, organizzato dal re Salman, con 55 leader dei Paesi arabi e islamici. Da un lato si è arrivati lì a fronte di un accordo bilaterale USA-Arabia Saudita per un giro d’affari di 350 miliardi di dollari, con 110 miliardi di dollari per la fornitura di armi, equipaggiamenti e sistemi anti missili da parte della Lockheed Martin e con diversi altri contratti importanti, come la vendita di 48 elicotteri militari della Boeing. Dall’altro lato il governo di Riad comprerà tecnologia e beni di consumo USA mentre imprese americane appronteranno stanziamenti produttivi in Arabia Saudita”.
Ecco, tutte cazzate. Non il viaggio e parte del business ma i 110 miliardi di dollari per la fornitura di armi all’Arabia Saudita. Per l’appunto, lo ha svelato lo scorso giugno l’autorevole Bruce O. Riedel. Nel senso che non c’è nessun accordo, perciò la notizia è falsa.
Riedel ha parlato con i suoi contatti nel settore della Difesa e dentro le stanze del potere a Washington e tutti gli hanno sussurrato la stessa cosa: non c’è nessun accordo ma soltanto un sacco di lettere di intenti. Tecnicamente sono offerte dell’industria americana degli armamenti al quale i sauditi potrebbero essere interessati nel futuro, che il Pentagono, in gergo, chiama intended sales (“vendite previste”). E ognuna di queste offerte, per giunta, è stata avviata dall’amministrazione Obama.
Parliamo di quattro fregate (con Trump bisogna specificare, non “pacchi” ma “fregate” intese come navi da combattimento che deriverebbero da quelle utilizzate dalla Marina USA ma che ancora, in queste varianti, sono solo progetti sulla carta) alla Marina reale saudita. Per una proposta che risale al 2015. Poi ci sarebbe il “Terminal High Altitude Air Defense system” (THAAD), ossia il sistema di difesa aerea già in uso in Corea del Sud. E ancora 150 elicotteri Black Hawk. Interesse sì, ma nessun contratto firmato.
Anche perché, sottolinea Riedel, a causa dei bassi prezzi del petrolio e della guerra che la coinvolge in Yemen, per l’Arabia Saudita 110 miliardi di dollari oggi hanno la “coda lunga”.
Obama, nel 2012, era riuscito a vendere all’Arabia Saudita 112 miliardi di dollari in armi, con pagamento in otto anni (pagamento che i sauditi, sempre a causa del petrolio ai minimi, hanno cercato di allungare). Operazione approvata dal Congresso, che prevedeva un accordo con Israele al fine di mantenere intatto il vantaggio tecnologico nei confronti dei loro vicini arabi.
Quindi, per Riedel, la controprova è semplice. L’accordo miliardario di Trump con l’Arabia Saudita sarà reale quando Israele chiederà l’“upgrade” per mantenere invariato il margine tecnologico del suo esercito sul mondo arabo. Mentre un altro business miliardario in dollari, questo ancora più odioso, è sicuro. La vendita di ulteriori munizioni alla Royal Saudi Air Force per continuare a bombardare lo Yemen, il Paese più povero del mondo arabo.
Qui il PDF
FORCHIELLI DELLA SERA
110 miliardi di dollari ci sono, 110 miliardi di dollari non ci sono. L’accordo USA-Arabia Saudita per la fornitura di armi è un’altra “balla” di Trump
Alberto Forchielli6 Luglio 20170
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